I 36 miliardi di euro che può ricavare da questo nuovo sportello potrebbero, infatti, essere impiegati per formare medici e infermieri, comprare ventilatori, ambulanze, mascherine, tamponi, in futuro anche il vaccino, riqualificare laboratori e ospedali, creare apposite strutture di quarantena.
di Maurizio Ricci
Dietro il contatore dell’epidemia, che ticchetta inesorabile, accumulando contagi e vittime, c’è un altro registratore, meno macabro, ma che proietta anch’esso una ombra inquietante sul nostro futuro. E’ il contatore dello spread, cioè del costo del debito pubblico italiano. Sino a ieri chi comprava titoli del Tesoro, reclamava un interesse vicino al 2 per cento. E’ il doppio del rendimento che esigevano i mercati meno di due mesi fa, a febbraio. Questo è il vero cappio al collo del paese. L’Italia, infatti, come tutti gli altri paesi, si avvia ad una esplosione del proprio debito pubblico, perché è il canale principale attraverso cui possono passare le risorse necessarie ad affrontare la crisi sanitaria e superare il disastro economico.
Di fronte ad una recessione che il Fondo monetario ha appena stimato a oltre il 9 per cento nel 2020, occorre uno sforzo gigantesco per impedire valanghe di imprese fallite e lavoratori licenziati. Gli economisti suggeriscono di fare le cose in grande, di non lesinare le risorse. Avere il braccino corto, adesso, dicono, significa avere una ripresa più stentata dopo e, dunque, in prospettiva, ancora più debito, mentre si allarga il fossato con gli altri paesi.
Ma se questa montagna di debito in più costa il doppio di prima, la corsa diventa sempre più affannosa e difficile e può finire nel vicolo cieco di una crisi finanziaria. Ancora due settimane fa, tornare a evocare la crisi da spread, il rischio di bancarotta, il crac dell’euro significava resuscitare fantasmi. Oggi, non più. Sulla stampa internazionale, quel fantasma è ben presente. Il Financial Times, in meno di una settimana, ha dedicato tre articoli al rischio che l’Italia si ritrovi con un debito pubblico insostenibile.
La commedia degli equivoci a cui si è ridotto il dibattito sul Mes, il Meccanismo europeo di solidarietà, va vista dentro questo scenario, tentando di fugare la nebbia che si è addensata sull’oggetto della discussione. Il Mes, infatti, il “cappio al collo”, come lo definiscono molti grillini, esiste dal 2012. Lo scorso anno si è a lungo dibattuto su una sua riforma, che l’opposizione dell’Italia ha imposto venisse chiusa in un cassetto. E lì è rimasta. Quello di cui si discute ora a Bruxelles non è quel Mes. E’ un Mes due. Un’altra cosa. E’ come se la banca dicesse: “Guardi le procedure per il mutuo sono le solite. Se, però, lei ha bisogno di soldi per le medicine, vada a quello sportello. Basta che faccia vedere le ricette”.
I soldi del Mes 2, infatti, vengono erogati senza vincoli e condizioni, tranne l’obbligo di impiegarli per la crisi sanitaria: niente pagelle, riforme obbligate, ristrutturazione del debito. Dato che la richiesta di quei soldi è su base volontaria, comunque, l’Italia può fare a meno di chiederli. Altri paesi (probabilmente la Spagna), tuttavia, li vogliono e sarebbe singolare che l’Italia si mettesse di traverso, bloccando i fondi per gli altri, pur di bloccare il Mes 2. Però, anche l’Italia ci dovrebbe pensar bene. I 36 miliardi di euro che può ricavare da questo nuovo sportello potrebbero, infatti, essere impiegati per formare medici e infermieri, comprare ventilatori, ambulanze, mascherine, tamponi, in futuro anche il vaccino, riqualificare laboratori e ospedali, creare apposite strutture di quarantena.
Con qualche ambizione in più, si potrebbe anche far tesoro del fallimento della struttura ospedalocentrica della sanità lombarda e impostare un’assistenza più diffusa sul territorio. E l’Europa è stata anche di manica larga. Perché i fondi possono essere legittimamente impiegati per contrastare gli effetti “diretti e indiretti” della crisi sanitaria, definizione sufficientemente vaga da poter essere applicata a progetti della più varia natura.
I 36 miliardi che il Mes potrebbe fornire all’Italia vanno, tuttavia, visti non soltanto come spesa diretta. Utilizzare i soldi europei per le imprescindibili necessità sanitaria significa, infatti, liberare soldi nostri che avremmo dovuto destinare alla sanità ad altri scopi: più fondi, insomma, per le imprese, per gli investimenti, per i sussidi e gli incentivi.
E, più in generale, i prestiti del Mes tornano utili per l’incubo dello spread e l’equilibrio della finanza pubblica. Quest’anno, infatti, il disavanzo pubblico, quello che abbiamo lottato, negli ultimi due anni, per tenere dentro il 2 per cento del Pil, arriverà al 7, 8, forse 10 per cento. Vale per noi, come per molti altri paesi. E questo disavanzo si ripercuoterà sul debito. In questo senso, i 36 miliardi del Mes, pari al 2 per cento del Pil italiano, vanno anch’essi calcolati nel debito. Ma vogliono dire che un quinto di quel 10 per cento di disavanzo non dovremo andarlo a chiedere agli investitori sui mercati.
E’ una differenza importante. Ed anche il motivo per cui chi fa i conti con la testa fredda è pronto a scommettere sulla sostenibilità del debito italiano. Il disavanzo 2020 porterà il totale del debito pubblico dall’attuale 135 per cento, oltre il 150, forse vicino al 160 per cento del Pil. Ma chi avrà in mano quei nuovi titoli del Tesoro? L’Osservatorio dei conti pubblici, diretto da Carlo Cottarelli, ha calcolato che il grosso del nuovo debito 2020 sarà assorbito dalla Bce (pronta ad acquistarne sui mercati per 220 miliardi di euro) e da altre istituzioni europee (Bei, il nuovo fondo Sure, eventualmente, appunto, il Mes), Di fatto, la quota di debito pubblico italiano in mano agli investitori sui mercati resterebbe, più o meno, quella attuale: 110-120 per cento.
In linea di principio, insomma, la finanza pubblica italiana non rischia una Caporetto, anche nel caso di manovre per rilanciare l’economia, ambiziose come quelle degli altri paesi. Il rischio è, però, che la storia che si raccontano e che viene raccontata ai mercati sia diversa. Le analisi della stampa internazionale di questi giorni indugiano su scenari in cui lo spread continua a scivolare, man mano che il debito sale, le agenzie di rating contestano la credibilità del Tesoro, gli investitori si fanno prendere dal panico.
L’esperienza dice che queste profezie, spesso, si autoavverano. Ed ecco che viene buono il tesoretto nascosto del Mes. Anche chi ricorre al Mes 2, infatti, vede la Bce scendere in campo a difendere i suoi titoli, senza alcun vincolo o condizione, neppure quelli – allentati – appena adottati da Francoforte, con il round di Quantitative easing deciso a marzo. In gergo, il ricorso al Mes 2 consente, infatti, gli Omt, Outright Monetary Transactions, ovvero quegli interventi diretti di acquisti sui mercati, escogitati da Draghi quando disse che avrebbe salvato l’euro “ad ogni costo”. Era quello il vero “bazooka” di Draghi. Bastò l’annuncio e non ci fu bisogno di acquistare neanche un titolo. Oggi, sotto l’ombrello del Mes 2, l’ombrello degli Omt potrebbe tornare nuovamente utile all’Italia.
15 aprile 2020