Mentre continuano a rincorrersi ipotesi sulle modalità della riapertura, il presidente del Consiglio chiarisce che non c’è ancora nulla di stabilito. Si prevede però uno schema valido per tutto il Paese, per contenere le fughe in avanti delle Regioni
aggiornato alle 07:1918 aprile 2020
di Giovanni Lamberti CORONAVIRUS GIUSEPPE CONTE RIPARTENZA
ARIS OIKONOMOU / AFP – Giuseppe Conte
Da una parte le regioni del nord (anche se oggi il governatore della Lombardia ha frenato) e un fronte trasversale di forze politiche – in primis Italia viva e la Lega – che spingono per alzare al più presto le saracinesche; dall’altra il mondo scientifico che chiede di non accelerare perché c’è il rischio di una seconda ondata, tesi condivisa anche da diversi ministri, tra cui quello della Salute Speranza: sul tema riaperture si fronteggiano sempre di più due tesi contrapposte. E sullo sfondo lavorano commissioni e comitati, da quello tecnico a quello economico (in tutto una ‘squadra’ di circa 400 persone, considerando anche i componenti chiamati dai ministeri), che portano sul tavolo dell’esecutivo suggerimenti, idee, progetti.
Conte in questi giorni ha evitato di pronunciarsi. Sta valutando i pro e i contro di tempi e modalità della fine del lockdown. Ma il premier – viene riferito – punta su un ‘piano generale’ che non prevede nè corse ‘fai da te’ dei governatori nè dovrebbe prediligere eventuali divisioni in macroaree. Si punta quindi a norme chiare e uniformi su tutto il territorio, anche se per ora non c’è uno schema definitivo.
Una delle idee degli esperti sarebbe quella di riaperture differenziate al nord, al centro e al sud in base alla diffusione del contagio mentre la task force presieduta da Colao ha predisposto un progetto con il quale, anche grazie ai dati Inail, si differenziano le attività per rischio di contagio. Il governo ha l’obiettivo di fare sintesi e soprattutto di mettere fine al corto circuito tra le istituzioni: ultima ad insorgere oggi la Campania di De Luca che ha minacciato di chiudere i confini della regione qualora il ‘fronte’ delle regioni del Settentrione allentasse la morsa autonomamente.
I primi settori che potrebbero riaprire
Oggi i ministri Boccia e Speranza incontreranno regioni e comuni mentre nelle prossime ore il presidente del Consiglio dovrebbe confrontarsi con le parti sociali. Prima del 3 maggio dovrebbero comunque aprire alcune filiere. Circa dieci i settori in pole per la ‘ripartenza’: tra questi quello della siderurgia, i mobilifici, il settore dell’auto, della meccanica, quello della moda, le aziende che producono macchinari per l’agricoltura, i cantieri edili.
Il primo ‘step’ è previsto tra dieci giorni. Solo in un secondo momento e comunque dopo il 4 maggio il blocco potrebbe finire a certe condizioni anche per i luoghi considerati ad alto rischio come i bar e i ristoranti. Si resta sempre nel campo delle ipotesi perché da più parti – dall’Oms in primis – arrivano gli avvertimenti ad evitare fughe in avanti. Fermo restando che alla base delle valutazioni dei prossimi giorni ci sarà sempre la necessità di prolungare misure come lo smart working e il distanziamento sociale e di adottare le maggiore cautele soprattutto per quanto riguarda i mezzi di trasporto.
Le carte restano coperte
Conte resta prudente. “In questi giorni e nelle ultime ore – recita una nota di palazzo Chigi – circolano numerose ipotesi, con tanto di date, sulle possibili riaperture nel Paese. In alcuni casi si tratta di ipotesi che non hanno alcun tipo di fondamento, in altri di ipotesi che sono ancora allo studio e quindi non possono essere in alcun modo considerate definitive”. L’invito è aspettare la fine dei lavori del comitato tecnico e della task force, di non alimentare “caos e confusione”.
La prossima settimana sarà decisiva per il presidente del Consiglio e per il governo: in ballo c’è la partita degli aiuti dell’Europa e il varo in Cdm del dl aprile che si dovrebbe aggirare intorno ai 70 miliardi. Il premier è convinto che le mosse del governo abbiano ottenuto un largo consenso da parte dei cittadini, considerato l’indice di gradimento dei sondaggi. E allo stesso tempo nel governo si osserva il calo del consenso nella Lega.
A Strasburgo in ordine sparso
L’operazione del partito di via Bellerio in Europa – con il no insieme a Fdi alla risoluzione che all’Europarlamento proponeva anche l’uso dei Recovery Bond – non è stata gradita, perché – questa la tesi – rischia di indebolire la posizione del nostro Paese al tavolo della trattativa. Ma anche Pd e Movimento 5 stelle hanno avuto un atteggiamento diverso e i dem hanno fatto notare che l‘astensione dei Cinque stelle è stata immotivata. “Ci lascia perplessi”, il commento del capogruppo del Pd al Senato, Marcucci.
Del resto i pentastellati in Europa si sono divisi. Forza Italia, invece, ha detto sì e cosi’ sia nella maggioranza che nell’opposizione c’è chi già immagina un ‘remakè della stessa votazione anche in Italia. Ovvero di un nuovo ‘fronte europeista’ quando e se in Parlamento sarà necessario votare sul Mes. La settimana prossima ci sarà il voto sulla relazione del leghista Calderoli al Senato ma la prova del nove dovrebbe esserci dopo il Consiglio europeo del 23 aprile. Sul tema del ‘fondo salva stati’ resta comunque alta la tensione tra i rosso-gialli.
“Conte ha un mandato chiaro in Europa”, dicono i vertici pentastellati, ma il partito del Nazareno è convinto che la soluzione non passi esclusivamente dagli Eurobond. In ogni caso il presidente del Consiglio tratterà fino all’ultimo per spuntarla. “Irresponsabile usare la fase due per cercare di cacciare Conte”, l’avvertimento del presidente della Camera, Fico. La terza carica dello Stato sembra rivolgersi all’opposizione (oggi compatti nell’attaccare la maggioranza che ha trovato un’intesa sulle nomine degli enti di Stato) ma anche a chi come i renziani non escludono un cambio in corsa. Ma a palazzo Chigi non si avverte alcuno scossone.