Mario Draghi nel suo unico intervento nell’era del virus aveva sollecitato su FT gli Stati europei, e in particolare l’Italia, a emettere immediatamente debito per immettere liquidità nelle aziende.
da DEL 09/05/2020
di Paolo Panerai
Per quale motivo Mario Draghi nel suo unico intervento nell’era del virus aveva sollecitato su FT gli Stati europei, e in particolare l’Italia, a emettere immediatamente debito per immettere liquidità nelle aziende? Per quale principale motivo lo aveva fatto, se non perché ben sapeva cosa bolliva nella pentola delle toghe rosse della Corte costituzionale tedesca?
Infatti, l’incitamento di Draghi aveva come sottostante anche questa consapevolezza, cioè che stava arrivando a sentenza l’azione promossa da un gruppo di giuristi tedeschi per dichiarare l‘incostituzionalità (non per la Bce, ma per la Bundesbank) di consentire e sostenere gli acquisti senza limiti dei titoli di Stato e anche dei bond delle società. Fortuna ha voluto che la sentenza sia diventata matura durante il Covid-19, altrimenti sarebbe stata di ben altra pesantezza. Ora la Corte tedesca chiede alla Bce di giustificarsi ma, dato il momento, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann (che è pur sempre un ex collaboratore nel partito Cdu di Angela Merkel) non potrà far leva sulla sentenza delle toghe rosse, perché gli equilibri in Europa sono già precari e soprattutto perché in Bce, per fortuna, si vota a maggioranza e non all’unanimità.
Ma Draghi conosce bene il morso di Weidmann. Lo conosce da quando a fine luglio del 2012 riuscì per la prima volta a mettere in minoranza nel direttivo della Bce il rappresentante dell’azionista di maggioranza e ad avviare il salvataggio dell’euro e dell’Europa con acquisti illimitati di titoli di Stato.
Per quella sconfitta Weidmann divenne furioso e fece pressione sulla Merkel affinché chiedesse all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi di candidare Draghi alla presidenza della Repubblica. Si ricorderà che, in maniera non tradizionale, lo stesso Draghi dovette fare una dichiarazione pubblica con cui precisava che non aveva nessuna intenzione di lasciare la Bce.
Come si vede, è una partita che arriva da lontano ed è soltanto il pericoloso crinale su cui si trova l’Ue a frenare, probabilmente, l’azione che Weidmann potrebbe svolgere nel consiglio Bce, contando sulla minore forza e la minore determinazione di Christine Lagarde.
Per questo, all’atto pratico, come hanno spiegato giuristi internazionali e giovedì 7 la stessa Corte suprema europea, la Bce è una istituzione europea, giudicabile solo da Corti europee, che superano le corti nazionali. Ma non c’è dubbio che se senza il Covid-19, l’azione di Weidmann nel direttivo europeo avrebbe potuto essere devastante. Invece oggi la Germania può opporsi ai bond europei ma non può permettersi neppure di tentare di arrestare l’azione difensiva, senza limiti (una parola che scoraggia da sola gli speculatori allo scoperto sui titoli di Stato dei vari Paesi).
Se l’Italia e gli altri Paesi avessero raccolto al volo il suggerimento di Draghi, emettendo titoli a 30 anni, come si fa in guerra, oggi non ci sarebbe niente da temere.
Invece, è sicuro che quando entro tre mesi la Bce risponderà, in Germania ci saranno pressioni politiche e Weidmann non rimarrà inattivo.
Per fortuna a limitarlo c’è il virus. Ma se gli Stati che ne hanno bisogno, in primo luogo l’Italia, si sbrigheranno a emettere titoli a lunghissimo termine, da debito di guerra, sarà molto meglio per loro. E l’Italia dovrà accompagnare queste emissioni, che potrebbero essere anche perpetue (scuola Paolo Savona) e quindi da non restituire ma solo con l’obbligo di pagare l’interesse, con l’obbligo di aggredire il debito pubblico e tagliarlo con le già note ricette sostenute da questo giornale e in contemporanea dal capo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, di vendita degli immobili passati dallo Stato agli enti locali senza corrispettivo.
Ciò è necessario perché una volta finito il virus, lo spread italiano sarà pericolosamente al rialzo con il rischio di default o comunque di messa sotto tutela del Paese.Infatti, in quel momento non sarà più sostenibile che l’Italia, terzo Paese dell’Unione, abbia un debito pubblico di stile sudamericano e saranno più che giustificate le critiche del resto d’Europa.
Quindi, che si porti nelle casse dello Stato tutta la liquidità che serve per salvare le aziende e le famiglie; ma la fase 3 passa in primo luogo attraverso azioni straordinarie di taglio del debito, che non possono certamente essere la tassa patrimoniale a cui agognano i tedeschi per una sorta di rivincita-invidia verso gli italiani che hanno il sole e che sono mediamente più ricchi dei cittadini germanici.
Proprio perché l’Italia deve dimostrare di saper tagliare il debito, non hanno senso le varie proposte di far sottoscrivere emissioni speciali agli italiani, anche se con condizioni speciali di tasso e fiscali. Anche se nei confronti degli italiani, sempre debito è.
Invece, se si vendono agli italiani immobili, immessi in fondi specializzati, si taglia il debito e si dimostra al mondo che l’Italia vuole ridurre il debito attingendo alla liquidità degli italiani, che però ricevono in cambio beni dello Stato, non la semplice promessa che il debito sarà restituito.
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«In cento giorni di lotta al virus, 736 atti di governo e regioni» (Il Sole-24Ore); «Burocrazia pubblica affondata. Sono riusciti a distruggere anche la figura del prefetto» (ItaliaOggi); «Prestiti e cassa integrazione bloccati dalla burocrazia» (la Repubblica)…
Sono solo i titoli di un giorno, mercoledì 6, e di tre giornali. Non passa giorno che nei media la causa principale, non solo e non tanto della cattiva gestione degli interventi finanziari per il virus ma del blocco permanente dell’Italia, sia individuata nella straripante e inefficiente burocrazia del Paese. Su queste pagine è già stato documentato che in Italia ci sono in vigore 164 mila norme fra nazionali e regionali contro 7 mila della Francia, 4 mila della Germania e 3 mila della Gran Bretagna. Non ci vuole molto a capire, dove sta la prima causa della burocrazia, quale sia la fonte stessa.
Nella maratona #ripartItalia di Class Cnbc di giovedì 7, una 12 ore con quasi 100 fra economisti, imprenditori, consulenti, professori, diffusa oltre che sul canale parte del primo network mondiale di economia e finanza, anche in streaming sul sito di Milano Finanza e sulla piattaforma Zoom (full, con 1.000 partecipanti) il tema è stato affrontato da un docente che ha avuto la fortuna-sfortuna di una recente esperienza governativa nel ministero fondamentale dell’Economia. Il professor Giovanni Tria, che per sei anni è stato presidente della Scuola di amministrazione, ha detto letteralmente: «Le difficoltà di questa fase non sono i funzionari pubblici, ma le norme decise dalla politica, l’uso di strumenti non adatti e il proliferare di regole che creano problemi. Se in un momento sistemico come questo, con metà delle imprese bloccate, si pretende di fare arrivare i pagamenti attraverso strumenti tipo le varie casse integrazioni, o con norme che non si possono applicare, il sistema salta. Non funzionava già prima ed oggi si è bloccato. Bisogna pensare che le imprese non solo generano reddito, ma lo distribuiscono. E questo reddito poi gira nell’economia attraverso diversi canali. Se il reddito delle imprese si prosciuga, si deve rimettere acqua nei serbatoi con interventi a fondo perduto per fare funzionare le imprese». Non si può non condividere con il professor Tria che la responsabilità finale sia della politica e si può comprendere anche che, avendo presieduto la Scuola di amministrazione, tenda a limitare la responsabilità dei burocrati. Ma dividendo politica e burocrati non si arriverà mai ad abbattere le deficienze dell’Italia. La visione di questo giornale è che si debbano fare contemporaneamente due operazioni, il disboscamento con il machete delle 164 mila leggi e una profonda selezione dei funzionari e dei dirigenti della pubblica amministrazione.
Con tutto il rispetto per il professor Tria, che è una delle menti migliori del Paese, per selezionare funzionari e dirigenti capaci ed efficienti e, soprattutto indipendenti, è necessario partire dalla scuola. La Scuola di amministrazione non allaccia neppure le scarpe all’Ena francese, che ha sfornato presidenti della Repubblica, primi ministri e ministri. Perché all’Ena possono accedere solo le migliori menti della Francia e le migliori menti hanno l’ambizione di andare a frequentare l’Ena.
Lancio una proposta: fra tutte le specializzazioni delle varie università italiane, non appare che ce ne sia una di eccellenza per la pubblica amministrazione. Che sia la Bocconi, che sia la Luiss, che sia un’università statale, che diano comunque al Paese un corso di laurea triennale e magistrale in pubblica amministrazione; che si cominci a sfornare giovani che abbiano la coscienza che il Paese ha bisogno di funzionari e dirigenti pubblici, che abbiano l’ambizione di svolgere un ruolo fondamentale per il Paese, anche a costo di essere meno pagati che nel privato. Per fare questo ci vogliono degli anni, ma va fatto. E tutti quelli che si laureano devono sostenere un esame di scrittura in italiano, non in burocratese, che è l’esempio quotidiano di qualsiasi testo che esca dalla pubblica amministrazione e dal Parlamento, perché deve essere chiaro che a scrivere le leggi e soprattutto i regolamenti sono i burocrati. La politica, i parlamentari, il governo hanno la gravissima responsabilità di adottare e approvare quei testi, ma sono i testi che diventano incomprensibili, di tripla, quadrupla e quintupla interpretazione.
Naturalmente, se questo non avvenisse con il disboscamento contemporaneo di leggi, lasciandone in vita, in prima battuta, non più di 50 mila per scendere poi al livello degli altri Paesi europei, anche la scrittura in italiano univoco servirebbe a poco. Anche per tutto ciò ci vogliono anni. Quindi cosa si può fare? Una legge straordinaria, anche costituzionale se serve, che crei 3-5 anni di regime speciale, dove le nuove leggi non fanno riferimento altro che alla Costituzione, non ad altre leggi, come succede sempre nel primo articolo che ne richiama come minimo una decina.
L’occasione del virus è la più propizia per una tale iniziativa, perché ha creato un contesto peggiore di un dopoguerra.
Professor Giuseppe Conte, Signor presidente del Consiglio, da avvocato che è stato alle prese con l’interpretazione delle leggi, conoscendo quindi la loro ambiguità e complessità, perché non prende almeno l’iniziativa di un provvedimento straordinario? Perché non prende l’occasione, per esempio, per rendere cristallino e semplificato almeno il provvedimento che appare fin d’ora il più importante per il rilancio dell’Italia e di cui si sa che sarà nel decreto ex Aprile?
Mi riferisco al Super Bonus pari al 110% della spesa per risparmio energetico, creazione di energia green, stabilizzazione dei condomini e delle case contro i terremoti. Come sa, se ne è fatto promotore il suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, che ha usato come base il provvedimento già contenuto nella Finanziaria per il cappotto termico, il rifacimento delle facciate, la stabilizzazione antisismica. Alcuni giornali, per compiacenza o per il non ricordo che un provvedimento in quella linea esisteva già, lo hanno qualificato come un provvedimento ex novo; non lo è, ma è diventato robustissimo e rilanciando l’edilizia, che è il settore più sinergico per molti altri settori, potrà avere risultati notevoli. E il sottosegretario Fraccaro lo ha potenziato (sì, questa volta, in conferenza, lei Signor Presidente, potrà anche dire che è poderoso come non lo sono stati invece gli altri decreti). Infatti da un contributo attraverso il credito d’imposta che poteva arrivare al 75-80%, il sottosegretario Fraccaro ha annunciato che si potrà arrivare addirittura al 110% di spesa; che il credito d’imposta potrà essere usato dalla persona o dalla società che realizza l’intervento, ma, come agevolazione straordinaria, potrà anche essere incamerato dall’impresa, e quindi chi commissiona i lavori non dovrà neppure anticipare un euro; e infine, che accanto a coloro a cui era comunque possibile cedere il credito (Eni, Enel, Snam cioè aziende pubbliche che hanno forti utili) ora potrà essere ceduto come un asset immateriale alle banche che così potranno pagare l’impresa. Insomma, un meccanismo virtuoso che dovrebbe permettere di recuperare e migliorare l’enorme patrimonio immobiliare del Paese e metterlo in sicurezza, oltre che renderlo green.
È questo il provvedimento che il presidente dell’Ance, Gabriele Buia, aveva chiesto alcune settimane fa da queste colonne. Siamo lieti di aver contribuito al rilancio dell’edilizia, il più grande moltiplicatore per lo sviluppo economico. E lo Stato non ci perderà, perché se non incassa le imposte che vanno a formare il credito di imposta, recupererà con la crescita dell’Iva, i contributi dei lavoratori, i risparmi sulla cassa integrazione.
Un provvedimento straordinario. Ecco Signor Presidente, si accerti che sia scritto in italiano e che stia in non più di tre pagine. Ma soprattutto è necessario che sia un provvedimento applicabile alla stessa maniera in tutt’Italia, perché l’urbanistica è materia regionale e ogni regione ha prodotto provvedimenti diversi. Per esempio, in Toscana (ma è solo un esempio) le classi di rischio sistemico sono diverse da altre regioni. Per la miseria, che almeno questo sia un provvedimento che non crea intoppi, che parte a razzo, in modo da rendere l’Italia un grande cantiere. E con questo grande cantiere ripartirà il paese. ItaliaOggi ci spera.