venerdì, Giugno 26, 2020

Un’altra censura per il Jobs act

DIRITTO E FISCO – Incostituzionale il criterio fissato dal Jobs Act per calcolare l’indennità dovuta al lavoratore dal datore di lavoro che l’ha licenziato con vizi formali: la quantificazione dell’indennità non può considerare soltanto gli anni di servizio del lavoratore.

da del 26/06/2020

di Daniele Cirioli

Incostituzionale il criterio fissato dal Jobs act per calcolare l’indennità dovuta al lavoratore dal datore di lavoro che l’ha licenziato con vizi formali: la quantificazione dell’indennità non può considerare soltanto gli anni di servizio del lavoratore. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, mercoledì, decidendo sulle questioni di costituzionalità sollevate dai Tribunali di Bari e Roma sull’art. 4 del dlgs n. 23/2015. La Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo nella parte in cui fissa l’importo dell’indennità «pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio».

Licenziamento viziato. Le questioni di legittimità toccano il nuovo regime di tutela dei lavoratori per i licenziamenti affetti da vizi formali e procedurali. Il regime è nuovo perché si applica ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015; a quelli già in forza a tale data, invece, continua ad applicarsi il vecchio regime che, in sostanza, tutela tutti i casi di licenziamenti illegittimi con la «reintegrazione nel posto di lavoro» (art. 18, legge n. 300/1970). L’art. 4 del Jobs Act, in particolare, stabilisce che nei casi di licenziamento intimato in violazione del requisito di motivazione (art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966) o procedura (art. 7, legge n. 300/1970), il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non soggetta a contribuzione, d’importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione per il calcolo del Tfr per anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 12 mensilità.

La decisione. Le motivazioni alla sentenza saranno depositate nelle prossime settimane. Appare probabile che ricalchino, nella sostanza, quanto deliberato dalla stessa Corte con sentenza n. 194/2018 (si veda ItaliaOggi del 9 novembre 2018), per dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, dello stesso dlgs n. 23/2015.

Tale articolo disciplina l’indennità dovuta dai datori di lavoro condannati d’illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giusta causa.

In quel caso la Corte ha ritenuto che il criterio di rigido calcolo dell’indennità, ancorato al solo parametro dell’anzianità di lavoro, contrasta con il principio di eguaglianza e con quello di ragionevolezza.

Di conseguenza ha dichiarato che, nel rispetto dei limiti minimo e massimo, la quantificazione dell’indennità avvenga tenendo conto innanzitutto dell’anzianità di servizio, ma anche di ogni altro criterio desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti: numero dipendenti occupati; dimensioni dell’attività economica; comportamento e condizioni delle parti.

Per la Corte, insomma, la sola anzianità di servizio non è sufficiente a determinare l’indennità dovuta a ristoro di un ingiustificato licenziamento, traducendosi in una sorta di liquidazione legale, «forfetizzata e standardizzata», per l’ingiusta perdita del posto di lavoro.

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