La Link e il «Consortium for research on intelligence and security services» avrebbero simulato piani di ricerca e sviluppo. Sotto inchiesta anche il rettore Claudio Roveda.
daROMA
Aula Link University
di Redazione Roma
Perquisizioni, acquisizioni di atti, controlli a tappeto: la Guardia di Finanza sta passando al setaccio la Link University di Roma, un’indagine coordinata dalla Procura di Roma in cui sono indagati a vario titolo 14 persone, in rapporti diretti e indiretti con l’ateneo. Dall’inchiesta emergerebbe che la Link e il «Consortium for research on intelligence and security services» avrebbero simulato l’esecuzione di progetti di ricerca e sviluppo che avrebbero loro consentito di godere di crediti fiscali.
Tra gli indagati il rettore Claudio Roveda
Tra gli indagati diverse figure di vertice dell’università, tra cui il rettore Claudio Roveda, il presidente della società di gestione Gem Vanna Fadini, il membro del consiglio d’amministrazione e presidente della scuola per le attività Undergraduate e Graduate Carlo Maria Medaglia, il direttore generale Pasquale Russo. Simulando l’esecuzione di progetti di ricerca e sviluppo, la Link e il Consortium avrebbero maturato – si legge nel decreto di perquisizione – inesistenti crediti di imposta che avrebbero poi utilizzato in compensazione in occasione del versamento delle imposte da loro dovute. Le società hanno poi ottenuto indietro parte del denaro versato alle società commissionarie, attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti con conseguenti movimenti finanziari di rientro delle somme originariamente versate.
Indagini della polizia finanziaria di Firenze e Roma con l’Agenzia delle entrate
L’indagine nasce da una serie di informative del nucleo di polizia economico finanziaria di Firenze e Roma e dell’Agenzia delle Entrate. Alla Link i finanzieri stanno acquisendo documenti contabili ed extracontabili, computer, server, agende, documenti bancari, registrazioni di videoconferenze. Materiale che sarà necessario a ricostruire le modalità e i soggetti coinvolti nei progetti di ricerca e sviluppo messi in piedi dalla Link e dal Consortium.
15 luglio 2020 | 12:51
Truffa all’università. Indagati professori per speculazioni sui fondi per la ricerca
Ipotesi che i fondi ottenuti per dei progetti di ricerca venissero dirottati verso altre destinazioni
di Angela Camuso
Uni-Salerno KFNG
Alcuni professori universitari, ordinari e associati, lucravano sui fondi per la ricerca falsificando i rendiconti attestanti il numero di ore effettivamente lavorate. Per questo sono indagati da diversi mesi dalla Procura di Salerno per i reati di truffa ai danni dello Stato e falso.
Il malaffare, secondo la pubblica accusa, andava avanti da un decennio, protetto da un muro di omertà diffusa. Tanti ricercatori precari, dottorandi e borsisti al seguito dei professori responsabili dei progetti incriminati sapevano ma, onde evitare un rischio per la propria carriera, avevano accettato il ‘sistema’. Così, ad esempio, avveniva periodicamente che sulla carta, affianco ai progetti che poi ottenevano finanziamenti pubblici per milioni di euro, venissero segnati nomi di curatori e quantità di ore dedicate non corrispondenti al vero.
Per almeno quattro professori universitari degli atenei di Salerno e Benevento, le indagini avrebbero dimostrato l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza. A sostegno dell’ipotesi accusatoria, oltre alle intercettazioni, ci sono i risultati di una serie di perquisizioni effettuate a fine 2013, quando agli accademici furono recapitati gli avvisi di garanzia (anche se la notizia allora non uscì fuori dai muri delle Università).
Le indagini, svolte dalla Guardia di Finanza, hanno scoperto che i professori inquisiti, con la collaborazione attiva di componenti del personale amministrativo delle rispettive Facoltà e anche di altri soggetti esterni, riuscivano a ottenere finanziamenti pubblici per cifre superiori, spesso nella misura dei due terzi, alle risorse effettivamente necessarie alla realizzazione dei progetti di cui erano titolari.
I fondi venivano erogati sia da parte della Comunità Europea sia da parte del Miur sulla base di un controllo meramente formale sui documenti cartacei, poi rivelatisi falsi. A quel punto, secondo il pm, erano gli stessi professori a gestire, materialmente, i contributi pubblici. Quali ‘inventori’ di un prodotto frutto dello studio accademico, i professori sono infatti autorizzati dalla legge a diventare soci di quelle società interne all’Università, chiamate Spin-Off, create con un decreto del ‘99 per mettere a disposizione degli atenei un veicolo commerciale per la ricerca.
Le Spin–Off sono in pratica società private che mettono sul mercato i brevetti e l’ottenimento di un finanziamento pubblico permette ad esse di entrare nel circolo virtuoso del mercato della ricerca universitaria, con la possibilità di ottenere nel futuro altri finanziamenti.
In questo contesto, stando alla ricostruzione degli investigatori, nel caso di quelle Spin-Off finite al centro dello scandalo, accadeva sistematicamente che una parte cospicua del finanziamento ottenuto, fosse dirottato verso destinazioni che nulla avevano a che fare con la ricerca.
Le indagini riguardano, oltre che l’Università di Salerno e Benevento, altri atenei del Sud d’Italia tra cui un’università in Calabria e un’altra in Campania. Il filo che lega gli atenei finiti nel mirino della magistratura è costituito dai medesimi progetti di ricerca e dall’utilizzo delle medesime Spin- Off.
I professori indagati guadagnano all’anno circa 200mila euro nel caso degli ordinari e 90mila euro nel caso degli associati e anche se il loro stile di vita è apparentemente giustificato dagli emolumenti, ora le indagini stanno cercando di scoprire se esistono tracce, anche all’estero, di flussi finanziari sospetti.
A far scattare gli accertamenti delle Fiamme Gialle un esposto presentato da un giovane ricercatore dell’Università di Salerno, che ha raccontato ciò che avveniva nell’Ateneo sotto gli occhi di tutti. La Procura ha iniziato ad indagare interpellando anche diversi colleghi dell’autore dell’esposto e molti di loro avrebbero confermato nella sostanza i fatti.
13 marzo 2014 | 11:37