giovedì, Settembre 17, 2020

‘Iddu e Idda’, la coppia terribile di Cosa nostra che comandava nel Catanese

Finito in carcere il boss, lo scettro del potere è finito in mano alla moglie, determinata e temuta dagli affiliati, in grado di gestire gli affari e la ‘giustizia criminale’ del clan, impartendo ordini e punizioni.

di Natale Bruno e Giuseppe Marinaro

MAFIA     CATANIA

da aggiornato alle 13:48  17 settembre 2020

Grazia Messina, ‘Idda’

AGI – ‘Iddu’ (Lui) era l’incontrastato boss Benedetto La Motta, detto ‘Benito’, 62enne referente a Riposto del clan Santapaola. Finito in carcere, nel dicembre 2017, con l’accusa di omicidio, lo scettro del potere è finito in mano alla moglie 58enne Grazia Messina, almeno sino alla successiva scarcerazione del marito, nel giugno 2018.

‘Idda’ (Lei) la chiamavano con rispetto e timore gli affiliati che si occupavano di spaccio di droga, l’affare più remunerativo, e di estorsioni tra Riposto e Giarre. ‘Idda’ per sottolineare il potere fortificato dall’accordo con i Santapaola e gli Ercolano: lei teneva a bada tutti, gestiva i flussi di denaro e la ‘giustizia criminale’, sino a ordinare il pestaggio di un ‘picciutteddu’ (ragazzino) che si era permesso di rapinare un negozio sotto la protezione del clan.

‘Iddu’ è anche il nome dato all’operazione antimafia dei carabinieri coordinati dalla procura di Catania, che ha sgominato con 21 arresti l’agguerrito gruppo di Riposto e Giarre, affiliato ai Santapaola-Ercolano. L’indagine ha permesso di definire la struttura, le posizioni di vertice e i ruoli degli arrestati, ricostruendo l’ingente volume di affari illegali, il sistema di gestione delle “piazze di spaccio”, le modalità di approvvigionamento degli stupefacenti (cocaina, marijuana e hashish) e il mantenimento degli appartenenti all’organizzazione detenuti.

Il boss di Riposto Benedetto La Motta, ‘Iddu’

Documentate cinque estorsioni e sequestrati 210 chili di marijuana. Un’attività di spaccio svolta 24 ore su 24, con venditori al dettaglio articolati in turni. Identificati gli indagati che si occupavano dell’approvvigionamento delle sostanze supefacenti, del loro occultamento, confezionamento e di rifornire regolarmente gli spacciatori. L’incasso giornaliero complessivo dell’organizzazione è quantificabile in diverse migliaia di euro al giorno. Il gruppo, nonostante gli arresti, è sempre riuscito in breve tempo a riorganizzarsi.

La direzione e gestione del clan era riconducibile al boss La Motta, capo della frangia santapaoliana, indicato da più pentiti come referente del clan catanese, sostenuto da alcuni fedelissimi, tra i quali il noto “killer delle carceri”, il 76enne Antonino Marano, che, dopo la sua lunga detenzione durata circa 47 anni, scarcerato nel dicembre 2014, si è rimesso subito in gioco affiliandosi al clan. Proprio questi due sono stati recentemente colpiti da ordine di custodia cautelare in carcere per l’omicidio di Dario Chiappone, commesso a ottobre 2016.

La gestione del mercato illecito degli stupefacenti era affidata agli uomini di fiducia che si occupavano di reclutare i pusher, fornirli di telefoni cellulari e motorini elettrici e corrispondere loro circa 250 euro a settimana quale compenso. Le indagini hanno portato alla luce anche una serie di estorsioni ai danni di diversi esercizi commerciali di Giarre e Riposto, mai denunciate. Il clan riusciva a imporre alle vittime, sottolineano gli investigatori, “totale omertà”.

Non si fermava mai il clan. Anche a seguito dell’arresto di La Motta, avvenuto nel dicembre 2017, le attività non si erano interrotte, ma erano assicurate dalla moglie, determinata e temuta, la quale, sino alla successiva scarcerazione del marito non solo riceveva i proventi delle estorsioni, ma dettava legge e impartiva punizioni. La famiglia terribile di Cosa nostra.

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