Intervista con il ministro dell’Università Gaetano Manfredi. Che vede positivo: “Arriverà dal nostro mondo il lascito migliore della pandemia”. I progetti da finanziare con il Recovery fund. “Puntiamo molto sui cosiddetti ecosistemi d’innovazione, luoghi dove si integra ricerca pubblica e privata, imprese e università a seconda della vocazione di ciascuna regione”. No al terrorismo mediatico e informativo: “Preferirei se dicessimo ‘uscite in sicurezza’ anziché ‘state a casa”
da Tiscali.it
di Claudia Fusani
Se si vanno a cercare, si trovano anche buone notizie in queste giornate in cui rimbombano di nuovo i numeri della pandemia. “La competenza è tornata di moda e sono sicuro che arriverà dal nostro mondo il lascito migliore della pandemia” dice il ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi. ingegnere, fino a gennaio Rettore della Federico II a Napoli. Nel Parlamento svuotato dal rischio Pandemia, si è appena conclusa l’informativa del premier Conte sul Dpcm firmato domenica scorsa. Due ore di dibattito dove il virus continua a essere terreno di scontri e rivendicazioni di una parte e dell’altra non sono di conforto per uno come Manfredi che dice: “Abbiamo tanto da fare e poco tempo per farlo…”. Lo incontriamo nel corridoio dei Presidenti a Montecitorio per capire come sta l’università italiana ai tempi del Covid. Università e ricerca su cui Manfredi riesce a far convergere fondi e investimenti: nella Manovra ci sono 6,1 miliardi. Una rivoluzione dopo anni in cui si è per lo più tagliato.
Ministro, come sta vivendo il mondo universitario la pandemia? Come siete usciti dal primo lockdown?
“Tutto sommato è andata bene perché siamo riusciti a convertire la didattica in presenza in didattica a distanza in tempi rapidi. Tutti gli studenti sono stati in grado di modificare la propria attività universitaria senza interruzioni significative. Lo confermano i numeri, dei laureati e delle sessioni di esame sostenute, che sono rimasti inalterati rispetto all’anno precedente”.
Ora stiamo attraversando una seconda fase, diversa ma simile alla prima. Che misure avete deciso?
“A maggio, quando è stato fatto il piano ripartenza, abbiamo previsto che la ripresa fosse in modalità blended, cioè mista tra “distanza” e “presenza” e flessibile negli orari. Tutto questo perché l’obiettivo almeno per il prossimo anno è ridurre il più possibile l’affollamento per garantire il regolare svolgimento dell’anno accademico. La flessibilità ha consentito ad alcuni rettori di modificare la capienza in presenza, aumentarla e diminuirla a seconda della necessità. Dalla prossima settimana nel Lazio si passerà al 25%. Ma qualcuno è anche andato oltre il 50% perché ha potuto organizzare spazi aggiuntivi. I rettori hanno deciso in autonomia in base alle necessità. C’è stato anche chi è stato molto conservativo e ha deciso di non riaprire”.
Cinquanta e cinquanta?
“Sì, metà e metà. Sempre su prenotazione per garantire il tracciamento. Ha funzionato perché gli atenei non sono diventati, fino a questo momento almeno, cluster. Però abbiamo fatto in modo che i neoiscritti, le matricole, possano frequentare al cento per cento. La dimensione fisica è fondamentale, almeno al primo anno, per scoprire e capire i meccanismi dell’università, conoscere i docenti, il metodo di studio. Il primo anno all’università è anche un passaggio che segna le nostre vite e viverlo a distanza non sarebbe la stessa cosa. Insomma, abbiamo messo al centro il fattore umano”.
Connessione, devices, wifi: ha funzionato tutto? Zero intoppi?
“Tutto, alla perfezione. Ci sono lezioni con anche settanta collegamenti e altrettanti in presenza. Del resto abbiamo fatto interventi mirati: 60 milioni per un nuovo sistema di telecamere per trasmettere le lezioni e il cablaggio delle aule. Più di 20 milioni per gli studenti con Isee basso per avere in uso device e connessione gratuita. Abbiamo garantito il collegamento a 200-300 mila studenti”.
Nonostante i divieti, sono aumentate le immatricolazioni. Ha capito perché?
“Da una prima ricognizione – un quadro definitivo lo avremo tra un paio di settimane – sono cresciute di circa il 3%. I motivi sono almeno due. Abbiamo fatto un investimento importante sul diritto allo studio che ha ridotto le tasse universitarie. Con il decreto Rilancio è stata una misura contingente. Con la legge di bilancio l’abbiamo resa strutturale”.
Abbiamo anche le tasse universitarie tra le più care d’Europa…
“Appunto, adesso le abbiamo abbassate. Poi credo sia scattata la consapevolezza, nelle famiglie e nei ragazzi, che è fondamentale per il futuro di tutti investire sulla competenza. Credo, insomma, che sia tornato di moda studiare.”
Dopo la sbronza dell’uno-vale-uno…
“Dopo una fase di malintesi per cui è sembrato che la competenza non fosse più un valore. Preferisco dirla così. E’ un’inversione di tendenza globale. Riguarda un po’ tutti i Paesi. E comunque questa sarà l’eredità migliore della pandemia”.
Avete lasciato autonomia ai rettori nella gestione del contrasto alla pandemia? Oppure avete imposto regole uguali per tutti gli atenei?
“Abbiamo stabilito delle linee guida, per dare l’indirizzo politico. Poi l’attuazione è stata lasciata a ciascun rettore. La realtà universitaria è molto differenziata, giusto che ciascuno si organizzi come può e crede sia meglio. Il ministero svolge però un monitoraggio quotidiano”.
Le lezioni a distanza hanno svuotate le città. Ci sono interi settori che si sono riconvertiti nel tempo all’industria dell’ospitalità del mondo accademico e studentesco. E ora sono in ginocchio. Avete tenuto conto di questo effetto collaterale?
“Assolutamente sì. Sappiamo che far tornare i fuori sede all’università è una priorità. Per far vivere la comunità e non perderne il senso”.
Nel caos di queste ore è passata sotto silenzio il disegno di legge collegato alla Manovra che istituisce le lauree abilitanti. Parliamo di odontoiatria, psicologia, farmacia e veterinaria. Una buona notizia, finalmente.
“Con la laurea abilitante si unificano nella stessa sessione l’esame di laurea e quello per accedere alla professione e all’iscrizione all’albo. Lo sforzo è stato quello di inglobare il tirocinio professionale obbligatorio nel corso di studi. Siamo di fronte ad una grande semplificazione che riduce i tempi di accesso al mercato del lavoro”.
Resistenze da parte degli ordini professionali?
“Ora sono molto favorevoli perché diventeranno parte del percorso formativo”.
La prima è stata medicina. Quindi i giovani laureati possono già stare a contatto con pazienti, fare assistenza domiciliare e in ospedale. Ci sono state criticità?
“L’unico problema è stata la coincidenza con la pandemia. Quindi i giovani dottori si sono trovati a sostituire o aiutare i medici di base in un momento molto difficile. Direi che ce la siamo cavata”.
In Italia mancano 56 mila medici. Il dato lo fornisce Consulcesi, il network legale e di formazione dei professionisti della sanità. Colpa del numero chiuso? Ha ancora senso?
“Il numero chiuso ha ancora senso perché garantisce qualità di formazione. Negli ultimi anni la programmazione era stata fatta con un modello di sanità che si presupponeva che richiedesse meno medici. Ora è il modello è diverso, direi opposto, con tendenza ad ampliare il numero. Nel 2020 abbiamo aumentato di 1500 posti per un totale di 13 mila posti. Il prossimo anno cercheremo di arrivare a 14 mila posti. Inoltre sono state di recente inaugurati nuovi corsi di laurea a Taranto, Trento e in altre città”.
Qual è l’andamento con le specializzazioni? Mancano anestesisti per le terapie intensive.
“Abbiamo stanziato fondi e quindi aumentato i posti. A fronte dei 9 mila dello scorso anno, per il 2020 sono stati resi disponibili quasi 15 mila posti, che cercheremo di confermare anche per il prossimo anno”.
In Italia abbiamo solo il 28% di giovani laureati contro la media europea che è del 40%. Cosa si sta facendo per colmare questo gap imbarazzante?
“È uno degli obiettivi dei progetti che ho presentato per avere accesso al Recovery fund. Dobbiamo aumentare il numero dei laureati, incentivare i giovani ad iscriversi all’università, preparare l’orientamento e offrire loro una gamma adeguata di scelte. In Italia poi manca la formazione professionalizzate. Su questo ci saranno importanti novità”.
Cos’altro spera di ottenere dai 209 miliardi che l’Europa ci metterà a disposizione?
“Gli obiettivi del ministero sono aumentare il numero dei laureati e dei dottorati di ricerca rivolti alle imprese e alla Pubblica amministrazione. In entrambi questi settori dobbiamo aumentare la competitività tecnologica. Poi abbiamo proposto investimenti sui programmi di ricerca per avere più ricercatori – almeno seimila posti in più a tempo indeterminato – e più investimenti. Puntiamo molto, infine, sui cosiddetti ecosistemi d’innovazione, luoghi dove si integra ricerca pubblica e privata, imprese e università. Ogni regione avrà il proprio, a seconda della vocazione produttiva. Sono processi lunghi ma dobbiamo iniziare da qui e impostarli. Il tempo non è molto. E poi vedremo i nostri giovani laureati restare e non più andare”.
Il governo sembra diviso sulle misure da prendere adesso. C’è chi spinge per chiusure generalizzate e totali e chi invece, come il presidente Conte, chiede chiusure selettive e solo se necessarie. Lei da che parte sta?
“Sono d’accordo con il presidente Conte. In ogni provvedimento dobbiamo mantenere la proporzionalità e la progressività come unici criteri di riferimento”.
Senta, le piace di più “State a casa” o “uscite solo se in sicurezza”?
“La seconda che ha detto. Anche se siamo consapevoli che non sempre è possibile farlo. Ci sono alcune circostanze e alcune tipologie di attività che non si possono svolgere in sicurezza. E allora siamo costretti, al momento, a sospenderle. Ma chi segue le regole e rispetta i protocolli di sicurezza decisi con il Comitato tecnico scientifico non deve temere chiusure”.
Cosa ne pensa di questa comunicazione un po’ terrorizzante? Della massiccia presenza in TV di virologi epidemiologi ed esperti?
“Credo che oggi si debba fare leva e usare l’informazione per aumentare il senso di responsabilità dei cittadini, evitare di terrorizzarli ma informali in maniera corretta. Ad esempio contestualizzare numeri e percentuali. Deve essere chiaro a tutti, ad esempio, che i numeri di oggi non son paragonabili con la situazione di aprile maggio”.
23 ottobre 2020