Scoppia la prima grana in casa del nuovo segretario del Pd: Gualtieri si autocandida, sotto la regia di Bettini. Il Pd si agita
da di Ettore Maria Colombo
Roberto Gualtieri (Foto Ansa)
Fra le prime ‘grane’ da affrontare, che pure ci sono e ci saranno, e tante, nella Segreteria di Enrico Letta, ieri ne è scoppiata una bella grossa e per nulla cercata. La corsa per le comunali di Roma. L’ex ministro al Mef del governo Conte, Roberto Gualtieri – su ispirazione del ‘solito’ Bettini – avanza, del tutto a sorpresa, a ‘freddo’, la sua candidatura a Sindaco della Capitale, per conto di Pd e centrosinistra senza minimamente aver concordato la sua uscita con Letta. Il quale Letta, reagisce freddo, glaciale, distaccato. E la ira dei freddi, come si sa, è la peggiore. Morale, è ‘incacchiato’ nero solo che, chiamandosi Letta, si rifiuta di darlo a vedere. Insomma, Letta, a ieri, alle candidature a sindaco di Roma, non ci pensava proprio: troppe erano gli assilli e le cose da fare. Senza dire del fatto che, da qui al 2023, quando finirà la legislatura (ma pure finisse nel 2022), la segreteria di Letta avrà un solo, cruciale, battesimo del fuoco: le elezioni amministrative che si terranno nelle principali città italiane (Roma, Napoli, Torino, Bologna, Milano, e chi più ne ha ne metta), previste, a spanne, verso l’autunno, e pure assai inoltrato.
Letta si gioca il controllo del “suo” Pd
Se Letta, e il centrosinistra, le perde, addio sogni di gloria: i ‘baroni’ del Pd – oggi acquattati e silenziosi, ma assai torvi, pronti a riprendersi il partito – si riprenderanno il partito e tanti cari saluti ai sogni di Enrico Primo il Rinnovatore. Se, per sbaglio, per caso, o per ‘fatal combinazione’, Letta le elezioni amministrative le vince “non lo ferma più nessuno” – ammette, rassegnato, uno zingarettiano – “si prende il Pd: si presenta alle primarie, le vince, e poi le liste le fa lui…”
Il ‘contesto’/1. I sogni di gloria del dalemiano Gualtieri
Ecco perché, come in ogni giallo che si rispetti, bisogna fare uno, anzi due, passi indietro. Prima di capire‘chi’ candida Gualtieri, bisogna, come al solito, capire il contesto e spiegare, dunque, cui prodest, vincere o perdere a Roma. La candidatura di Gualtieri, innanzitutto, non è solo figlia dell’ambizione di Gualtieri medesimo. Uno che, dabuon ex dalemiano, ambizioso e pieno di sé come tutti i dalemiani, studioso del Pci del dopoguerra e di Togliatti, si sente predestinato, da sempre, ad alti compiti e augusti destini. Per dire, Gualtieri voleva restare ministro, dopo il fallimento del Conte due, di cui era ministro chiave, a tutti i costi: ha cercato appoggi e sponde ovunque, dalla Ue al Pse, dal Vaticano a Confindustria (che gliel’ha pure data) per cercare di restare ministro anche nel Governo Draghi. Solo che, particolare non da poco, voleva restare al Mef, non accettava degradazioni. Come se il buon Draghi non potesse scegliersi – cioè lui, Draghi… – il titolare del Mef. Insomma, pareva proprio pretendere troppo e infatti il povero Gualtieri ha dovuto incassare lì il primo rinculo. Ma, non soddisfatto, voleva candidarsi alla guida del Pd: un sogno fatto, più che altro, a casa sua e con qualche sponda nobile (la Cgil di Landini), di cui in pochi si sono accorti. A quel punto, Gualtieri, noblesse oblige, ha pensato che gli restava solo un alto compito: fare il primo nel villaggio della Gallia, invece che il secondo a Roma, come insegnava – nel De bello gallico – il buon Cesare. Peccato che il villaggio si chiamasse, appunto, come la Capitale d’Italia.
Il contesto/2. Il ‘mondo di mezzo’ dell’ex Pci romano
Sogni di gloria che, però, hanno bisogno di idee e voti. Ed ecco entrare in campo Goffredo Bettini, sempre lui. L’ex ‘consigliori’ di Zingaretti prima e di Conte poi è l’inventore del ‘modello Roma’. Cioè delle candidature, vincenti, di Francesco Rutelli e Walter Veltroni, a sindaco della Capitale, come di quella, perdente, di Ignazio Marino. Storico dominus del ‘partito romano’ – un partito nel partito dai tempi del Pci, poi traslato, pari pari, nel Pds-Ds-Pd – Bettini, però, nulla potrebbe dare, se non buoni (o cattivi, dipende dai punti di vista) consigli, se non avesse, oltre alle idee, anche le truppe. Quelle a fornirle, ci pensa, il buon Claudio Mancini. Dalemiano, poi orfiniano (cioè della ex corrente di Matteo Orfini, ex commissario del Pd romano quando il Pd romano finì travolto dentro ‘Mafia Capitale’) e, ora bettiniano di ferro, Mancini è stato accusato, sicuramente assai ingiustamente, di tutto. Compreso di ‘spicciare le faccende sporche’ del Mef per conto di Gualtieri, di cui era il parlamentare di riferimento.
Claudio Mancini, l’uomo ombra di Bettini
Un servizio del settimanale L’Espresso, uscito mesi fa, dal titolo “Tiro Mancini” e a firma Carlo Tecce lo dipingeva come una sorta di ‘uomo nero’ del Pd e lo descriveva così: “Dalla sezione di Monteverde al Ministero dell’Economia, gestisce affari in Tunisia e i soldi del Pd romano. Chi è il deputato che affianca Gualtieri in via XX settembre”. Cattiverie purissime, distillati di perfidia, forse superiori al potere stesso del povero Mancini che, però, non querela. Certo è che Mancini – tra ipotetici demeriti e certi meriti (è uno che, in fondo, i voti ‘veri’, a Roma, li ha sempre avuti) – è il portatore di borracce non solo di Gualtieri, ma pure di Bettini. Insomma, va bene philosophari, sed primum vivere. Bettini, a novembre, senza che nessuno, tranne Repubblica, se ne accorgesse, ha fondato una sua corrente lib-lab-dem, impreziosita dagli allora Ministri Mancini (e Manfredi), ma i voti, a Roma, ce li ha Mancini, e i suoi, portati con tigna e certosina pazienza dal Pci al Pds, dal Pds ai Ds fino al Pd. Mancini, si sa, fa e disfa alleanze, segretari locali, candidati sindaci e candidature del Pd romano. Non si muove foglia che Mancini non voglia, ecco. Solo una, la Prestipino, gli resiste, da anni.
Solo la Prestipino resiste a Mancini
Contro Mancini si può ergere solo chi c’ha i voti. E, a Roma, infatti, non lo fa nessuno, in pratica, tranne una. Si chiama Patrizia Prestipino, fa la deputata di Roma Est, si è vinta il collegio uninominale da sola, strappandolo con le unghie e con i denti al centrodestra come ai Cinquestelle, ma facile, che bella forza. La Prestipino, innanzitutto, viene dal mondo di Rutelli, della ex Dc della ex Margherita, ergo nulla c’entra con il ‘potere’ di Mancini che stava nel Pci. E poi è di Base riformista, la corrente degli ex renziani, e renziana era, a sua volta. Altri modi, altri stili, altri mood, altre frequentazioni (la Prestipino è chic, va nei salotti, Mancini è resta figlio del popolino romano), però, va detto, quando si riunisce il Pd di Roma e Lazio solo la Prestipino si alza e – contro Zingaretti, contro Mancini, contro Bettini – insorge e osa dire: “compagni, non sono d’accordo…”.
Bettini è ideologo del Potere romano, Mancini porta voti
La certo è anche che, quando si riunisce il Pd romano e laziale si sa sempre che, assente o silente, comanda lui, Mancini. Ergo Bettini, si capisce, che, però, di mestiere, fa l’ideologo, l’ispiratore, il mentore, per ultimo di Gualtieri. Poi, certo, comanda Zingaretti, a partire dalla Regione Lazio, dove ci sono tutti i suoi uomini ma ora siamo alla scissione tra i pasdaran dell’ex segretario: Zingaretti vorrebbe candidarsi lui, a Sindaco di Roma, solo che ‘sor Tentenna’, come lo chiamano in città da trent’anni, ancora ci sta pensando. Bettini (e Mancini) vuole imporre Gualtieri anche per vendicarsi del povero Zinga che, a suo dire, non ha forzato la mano difendendo Conte fino alla disperazione e impedendo l’arrivo di Draghi. Per Bettini – che ora chiede, minaccioso, il Congresso, nel Pd, Letta o non Letta – bisognava sfidare il Colle, la Ue, la Nato, l’Onu, il Papa e portare, in compagnia di Conte e di Grillo, il Paese al voto. Zingaretti, un pochino, si è stufato persino lui, di Bettini Questi, dunque, ha ripiegato su Gualtieri.
Bettini smentisce i retroscena e pure se stesso
In realtà, proprio stamane, ecco che Bettini smentisce tutti, persino se stesso: “qualsiasi candidato deve passare dalle primarie. Io sono lontanissimo dalle vicende romane, Gualtieri ha parlato solo con Astorre e Casu” il succo della sua nota diramata alle agenzie, stile bonzo. Insomma, Bettini, dopo aver lanciato la pietra, ritira la mano e si rifugia nel lavacro purificatore delle primarie, ben sapendo che sarebbero inutili e demenziali. Una corsa di ‘sette nani’ (Gualtieri, Tobia Zevi, che le reclama, Monica Cirinnà, che non vede l’ora di far parlare di sé, forse Stefano Fassina per la sinistra-sinistra, etc. etc. etc.) contro Raggi (M5s), Bertolaso (centrodestra) e persino contro Calenda (Az civ). I quali ne uscirebbero, da fuori, come i veri tre sfidanti per la guida della città mentre il Pd si contorce e distorce dividendosi le spoglie dei suoi voti.
Zingaretti voleva candidarsi lui: e non c’entra
Dall’altra parte, stavolta, anche il povero Zinga è innocente. Quello di Bettini (e di Mancini), via Gualtieri, è stato un colpo basso ai desiderata dell’ex Segretario, il quale – con Letta che lo chiama, abbastanza seccato, ecco – cade dal pero: non ne sapeva nulla, di Gualtieri, anzi si lamenta: ci stava facendo lui, più di un pensiero, su Roma. Ad appoggiare la corsa di Gualtieri, nelle prime ore, mentre Letta è impegnato a parlare di tutt’altro alla Stampa Estera, nel centrosinistra, parlano – fin troppo solleciti, credendo che Letta condivida la scelta, il nome e l’idea – un po’ tutti, dai Verdi fino a Stefano Fassina di LeU. Oltre che, entusiasta come può essere, sempre, ovviamente, mezzo Pd. Solo Iv (furba) tace. Invece Carlo Calenda – leader di Azione civile (sono lui e quattro gatti in tutt’Italia, ma stanno tutti i giorni in tv) spara le solite palle incatenate contro Gualtieri come le sparerebbe contro chiunque non si chiami Calenda Carlo: “a Roma io mi sono già candidato, di certo non mi ritiro”. Certo è che, da quando le agenzie battono la notizia, di prima mattina, è un turbinio di reazioni che arrivano da ogni parte, persino da fuori Roma. Tutti, appunto, parlano, tranne Letta: si è trovato messo di fronte il fatto compiuto e non l’ha presa bene, anzi: non l’ha presa affatto bene.
Calenda spara a palle incatenate, l’ira di Letta
Il Segretario Nazionale convoca, appena può, cioè a sera tarda, il Segretario di Roma Andrea Casu (ex renziano, passato da tempo armi e bagagli con Zingaretti, non conta quasi nulla) e il Segretario del Lazio, Bruno Astorre, zingarettiano doc. Letta fa loro un bello shampoo, i due si difendono, imbarazzati, come possono. Morale, il nome di Gualtieri, a partire da oggi, finirà nel dimenticatoio e amen, ma questa, Letta, se la lega di certo al dito, che poi l’ira degli ex diccì, quando si arrabbiano, è pure l’ira più funesta.
Letta ci dovrà mettere la testa, su Roma
Poi, però, appena passerà qualche tempo, e la polvere si deposita, Letta dovrà pur metterci mano, nel verminaio romano, ma ora è troppo presto. In ogni caso, le alternative sono due. ‘Regalare’ Roma a Zingaretti, senza le dimissioni del quale oggi Letta non sarebbe Segretario del Pd. E poi i due si sono subito presi: un feeling umano immediato, anche se tra un ex Dc e un ex Pci (ricorda l’affetto imperituro e costante che lega Letta a Bersani). Insomma, candidare Zinga, sempre che la Raggi si ritiri e i 5Stelle convergano sulla sua candidatura, oppure pescare dal mazzo la carta migliore possibile, per uno come Letta. Candidare, cioè, sempre in accordo con i 5Stelle, l’attuale Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli. Cattolico, volto umano del Pd romano, ex volto del Tg1 (“piace tanto alle mamme”, notano in Base riformista), candidato alle primarie del 2013 (con Prestipino e altri), contro Marino, le perse, ma gode di buona fama e meriti. E’ pure romanista (come Draghi), oltre che romano, e perbene. “Sarebbe perfetto” sognano, per ora, tutti gli ex renziani, mentre i lettiani non si pronunciano ma dubitano che “David, che a dicembre finirà due anni di mandato a capo del Parlamento, voglia lasciare, e non provare a candidarsi di nuovo a quella carica, per una gatta da pelare come Roma, ma certo, ove mai ci stesse, è perfetto. Why not?”. Che poi, come finirà, a Roma, mica dipende solo dal Pd…
La giunta Raggi e il caos dentro il Movimento
Come si sa, l’Amministrazione Capitolina è oggi in mano alla (disastrosa) gestione Raggi, fiore all’occhiello – poco fiore, molto occhiello – del M5s: lei si vuole ricandidare, i 5Stelle fingono di difenderla, Di Maio vuole pensionarla, magari offrendole un posto nel nuovo Direttorio a 5Stelle e, in proiezione futura, uno scranno parlamentare, ma Beppe Grillo ancora la difende, il braccio di ferro è ancora in corso. A giubilarla, nel Movimento, ci pensa, in primis, la sua acerrima e storivca rivale nella cosmografia grillina, Roberta Lombardi, che solo pochi giorni fa ha condotto l’operazione ingresso del M5s dentro la giunta Zingaretti con ben due assessori, e di peso, di cui uno è la Lombardi. Un piccolo primato, ad oggi: mai una giunta regionale di centrosinistra aveva ‘aperto’ ufficialmente ai pentastellati. Ci è voluto del bello e del buono dall’ex segretario Zingaretti, che pensava così di ancorare a ‘scambi’ futuri un Movimento riottoso come M5s. Infine, il centrodestra si prepara, da tempo, a riconquistarla, Roma. Finge di sfogliare la margherita dei nomi, ma ha già scelto (come vuole Berlusconi) per lanciare l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, oggi impegnato sul fronte Covid in Lombardia, e aspetta solo che Pd e M5s finiscano di litigare. Il problema è, appunto, e al solito, il centrosinistra: fino a ieri, non aveva uno straccio di candidato, neppure ufficioso. Da ieri, questo candidato, in teoria, c’è: trattasi dell’ex titolare del Mef, Roberto Gualtieri. Quello che non c’è è il placet del neo Segretario del Pd, Enrico Letta.
Le elezioni amministrative? Si fanno in autunno (forse)
Il quale, ieri, aveva convocato i giornalisti alla Stampa Estera non certo per parlare di elezioni comunali. Le quali, peraltro, sospirano i suoi, “manco si sa quando si fanno…”. In realtà, il governo Draghi una data, per quanto lasca, l’ha già fissata, per il prossimo turno elettorale: dovrebbe tenersi tra il 15 settembre e il 15 novembre, ma l’indicazione è generica, la Pandemia non si sa se ancora infurierà o meno e potrebbero essere rimandate fino all’ultimo giorno utile. La sola cosa certa è che la tornata è succosa e su tre step: elezioni amministrative (comunali), regionali (in Calabria) ed elezioni suppletive in ben due seggi uninominali lasciati vacanti in giro per l’Italia da due eletti. Uno dei due, peraltro, è quello di Siena, dove aveva vinto il democrat, ex ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, il quale ha deciso di passare a miglior vita (cda di Unicredit) e dove proprio Letta si vorrebbe/potrebbe/dovrebbe/ (etc) candidare: i toscani dem – dalla segretaria regionale, Simona Bonafé, al sindaco di Firenze, Dario Nardella – chiedono a gran voce che lo faccia, e pure presto. Ma lui, Letta, ad oggi però a oggi ancora nicchia.
Le comunali si terranno in molte città chiave
Ma se, ieri, Enrico Letta, aveva in mente ben altro che occuparsi delle candidature alle comunali e pure a Roma, queste, in ogni schieramento politico – ma soprattutto nel centrosinistra e Pd – sono come le ciliegie: se parli di Roma, i napoletani si sentono snobbati, i torinesi fanno i sussiegosi più di tutti gli altri, i milanesi si innervosiscono, i bolognesi s’adontano. Eh già, perché mica si vota solo a Roma… Si vota pure a Milano, dove il Sindaco uscente, Giuseppe Sala, ha mollato il Pd per ‘rifondare’ i Verdi (non si sa bene con chi), a Torino (dove il Pd non riesce a trovare uno straccio di candidato), a Bologna (dove il Pd si scannerà in primarie tra nani bolognesi), a Napoli (dove il Pd non sa ancora bene chi candidare, ma poi dovrebbe convergere su un 5Stelle). Tutte città difficili e che, almeno alcune di loro come Roma e Milano, proprio non si possono perdere, in casa dem. Pena la stabilità della stessa Segreteria di Enrico Letta.
17 marzo 2021