E quindi non può spiccare l’accertamento a carico di un’azienda italiana che compra da una collegata, sempre italiana, a prezzi alti e rivende sottocosto. Così la Cassazione che ha respinto il ricorso delle Entrate
da del 27.03.2021 ore11,00
Dal tenore letterale del comma 7 dell’art. 110 del dpr 917/86, si evince chiaramente la possibilità di utilizzare la normativa sul transfer pricing solo a fronte di scambi intervenuti tra una Società controllante italiana ed un’altra Società controllata con sede all’estero, non essendo possibile applicare la normativa nell’ambito di rapporti di controllo relativi a società che siano entrambi residenti nel territorio italiano. Lo ha precisato la Ctp Milano con sentenza n. 61/17/2020 depositata il 14 gennaio 2020.
Ad essere impugnati due avvisi di accertamento Ires ed Irap emessi dalla Direzione Agenzia Entrate lombarda nei confronti di una SpA, capogruppo nel settore delle telecomunicazioni, rispetto alla quale l’amministrazione aveva applicato le norme di cui all’art. 110 comma 7 Tuir in tema di politiche di transfer pricing, rilevando ricavi non dichiarati. Si trattava di vagliare nello specifico il valore normale dei beni ceduti e servizi prestati fra le varie società del gruppo, ai sensi dell’art. 9, comma 3, del Tuir, tra le quali erano avvenute concessioni di licenze per brevetti e corresponsioni di royalties.
Nella vicenda in cui risultava alquanto complesso rilevare, secondo anche il metodo applicato dall’ufficio, il valore normale per il tipo di scambi effettuati dato il settore di attività dei soggetti, risultava tuttavia dirimente per la CTP giudicante il vaglio dell’eccepita erronea applicazione di tutta la normativa sul transfer pricing evidenziata dalla ricorrente in riferimento ai soggetti coinvolti legati dal controllo societario.
In effetti, condividevano i giudici in accoglimento del ricorso, il comma 7 del citato art. 110 prevede che «i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa (…) sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito».
Da tale indicazione discendeva che la norma non poteva applicarsi alle società attenzionate, tra cui la ricorrente, entrambi residenti in Italia mentre la norma sui prezzi di trasferimento è applicabile solo su scambi fra una controllata italiana ed un controllante avente sede in altro Paese. Questo solo presupposto, nel caso di specie non rispettato dall’amministrazione, permetteva di confermare l’illegittimità dell’operato dell’ufficio, soccombente anche nel merito del criterio usato per risalire al valore normale delle operazioni infrasocietarie.
Benito Fuoco