Le richieste dell’Europa e il rischio di stop da altri Paesi. Dal documento un programma «blindato» fino al 2026
di Federico Fubini
Viste da Bruxelles, le grandi manovre del Recovery sono una rivoluzione nel rapporto fra poteri che richiede senso della misura. In questi giorni 27 Paesi stanno formalizzando centinaia di impegni a fronte dei quali verranno sborsati circa duecento miliardi di euro. È impossibile che tutto fili liscio, ma distinguere ciò che è inaccettabile da ciò che è migliorabile, o sorvolabile, non sarà mai una scienza esatta. Neppure a Bruxelles, dove in queste ore si sono disposti — metaforicamente — vari cestini nei quali riporre le singole schede progetto di ciascun Paese, per migliaia di pagine.
C’è naturalmente il cestino dell’irricevibile: i progetti della Polonia per sviluppare il settore del carbone, quando il primo obiettivo di Next Generation EU è decarbonizzare; o i piani sull’università del governo ungherese di Viktor Orbán, che negli ultimi anni ha fatto molto per sopprimere ogni voce libera nel mondo accademico. C’è poi il cestino del rinviabile: la riforma delle pensioni chiesta alla Francia, che nessuno pretende sia proposta durante la campagna per le elezioni presidenziali fra un anno. C’è infine il cestino in cui sono finite alcune delle oltre 500 pagine di schede-progetto dell’Italia. Quello arrivato da Roma non è un piano che susciti l’indignazione neppure fra i più ordo-liberisti, ma solleva domande a Bruxelles. Quelle poste dalla Commissione Ue a Palazzo Chigi per tutto il giorno in una serie ininterrotta di chiamate fino alle 20:30 di sabato sono solo le prime di una lunga serie. Durerà anni. Forse sempre con le modalità di questi giorni: acquisizione di «precisazioni» da Roma, consultazione di un quarto d’ora fra desk tecnici a Bruxelles, e nuova chiamata con nuove richieste di chiarimenti. A oltranza.
Succede — e continuerà a succedere — per un insieme di ragioni. La prima è che l’Italia aveva già il secondo debito pubblico più alto d’Europa e la crescita più debole dall’avvio dell’euro, ma negli ultimi 13 mesi ha varato nuove spese in deficit per oltre 210 miliardi. La convinzione nelle istituzioni europee è che un ritorno al dinamismo esangue dei tempi recenti rappresenta un rischio inaccettabile per la tenuta sociale e finanziaria del Paese.
Il rapporto fra i partiti, il nucleo tecnico del governo e Bruxelles è però l’altra dinamica che sta cambiando.
Il Governo intende attuare quattro importanti riforme di contesto: pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza. Inoltre, sono previste iniziative di modernizzazione del mercato del lavoro e di rafforzamento della concorrenza nel mercato dei prodotti e dei servizi. È prevista infine una riforma fiscale, che affronti anche il tema delle imposte e dei sussidi ambientali», spiega ancora il Premier nella premessa.
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Per questo non basta neanche a un governo guidato da una figura credibile come Mario Draghi indicare intenzioni. La Commissione vuole scadenze e obiettivi misurabili, perché ha bisogno di strumenti di lavoro. E vuole riforme senza ombre. Vuole obiettivi cifrati sull’emersione del lavoro sommerso, inclusi dati, sanzioni previste, certezze sulla lotta al caporalato. Vuole anche più certezze operative su merito e tempi delle norme per la concorrenza (il governo di Giuseppe Conte non aveva lasciato niente e Draghi ci è arrivato all’ultimo). Né accetterà un ritorno mascherato alle pensioni a 62 anni. E ha dubbi su un meccanismo come quello di Industria 4.0 del Recovery perché troppo generico (quasi ogni spesa strumentale rientra negli sgravi) o in un ecobonus che include le terze e le quarte ville dei ricchissimi.
Quello che uscirà da questo confronto con Bruxelles sarà dunque un programma (blindato) di governo. Fino al 2026.