I 200 miliardi promessi all’Italia dall’Unione Europea nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, non sono un obolo al parente povero. Al contrario, l’elargizione sarà strettamente condizionata al rispetto di un vero e proprio percorso di guerra. Se non si riusciranno ad arginare gli interessi corporativi rischia di fallire l’attuazione del Pnrr e i miliardi a esso collegati.
da del 19/07/2021
di Marino Longoni
I duecento miliardi promessi all’Italia dall’Unione Europea nell’ambito del Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza) non sono un obolo al parente povero. Al contrario, l’elargizione sarà strettamente condizionata al rispetto di un vero e proprio percorso di guerra già concordato tra il governo italiano e la Commissione europea. Piano approvato il 13 luglio e che ora deve essere attuato a livello legislativo. Si tratta di una serie di Riforme impressionante (si veda la tabella alle pagine 2 e 3), che impegneranno i futuri Governi per almeno 5 anni. Il Commissario agli Affari Europei, Paolo Gentiloni, non ha mancato di ribadire nei giorni scorsi che «ogni anno ci sarà un esame della Commissione Europea per verificare il rispetto degli obiettivi del Piano Nazionale. I bonifici di Bruxelles partiranno solo se si raggiungono gli obiettivi nei tempi previsti dal calendario». Niente Riforme, niente Money.
Di fatto il Piano vincola fortemente la sovranità nazionale. Ma non si può negare che tutte le riforme previste rispondano all’obiettivo di rilanciare il Sistema Paese, rafforzandone la struttura giuridica, amministrativa ed economica. Uno sforzo che negli ultimi anni è stato sostituito da più comode vie di fuga, come il reddito di cittadinanza o quota 100, o che ha trovato ostacoli insormontabili in alcuni ‘potentati del Paese’. Ora il vincolo europeo (e i duecento miliardi ad esso collegati) potrebbe diventare una leva per attuare riforme troppo a lungo rinviate, come quella del Sistema Tributario, del Processo Civile, del Processo Tributario, del Processo Penale, del Pubblico Impiego, della Crisi d’Impresa, della proprietà industriale e così via. Sempre che si riesca a superare l’opposizione di quei gruppi di pressione che hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo.
Prendiamo per esempio la Riforma del Contenzioso Tributario. La Commissione istituita dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia e dal Ministro dell’Economia Daniele Franco, a conclusione dei propri lavori, ha ritenuto concordemente inopportuna la devoluzione della giurisdizione tributaria all’Autorità giudiziaria ordinaria o alla Corte dei Conti ma si è poi divisa sulle strade percorribili per attuare la Riforma delle Commissioni Tributarie esistenti.
Una proposta più radicale (sostenuta da professionisti, professori di diritto tributario ed Avvocatura dello stato) prevede l’evoluzione delle Commissioni Tributarie in veri e propri Giudici Togati a tempo pieno, specializzati, reclutati tramite pubblico concorso ed in prospettiva in grado di integrare i ranghi della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
Altra proposta (sostenuta dai magistrati ) ritiene che, siccome la Costituzione non prevede una giurisdizione tributaria, non sarebbe possibile la creazione di un giudice speciale in aggiunta a quelli esistenti (amministrativo, contabile, militare).
Andrebbe dunque tenuta ferma la natura onoraria della magistratura tributaria.
Ora, considerato che il Processo Tributario, che riguarda controversie per un valore complessivo annuo di circa 40 miliardi di euro, ha ad oggi una durata media di 7/8 anni ed un arretrato in Cassazione, in costante aumento, di oltre 55.000 ricorsi, è facile capire che quest’ultimo proposta è poco più di un pannicello caldo per una Giustizia Tributaria che ha necessità di una Riforma ad ampio raggio e strutturale, come del resto evidenziato dal Pnrr. Al fondo della divergenza è evidente una divisione riconducibile alla categoria di appartenenza.
La prima proposta è infatti sostenuta da professionisti ed accademici; la seconda è appoggiata dal Primo Presidente della Cassazione e da alcune Associazioni di Magistrati, forse preoccupate che la figura del Nuovo Giudice Tributario Togato tolga spazio alla primazia della Magistratura Ordinaria e correlativamente al suo Organo di Controllo. Ma è evidente che se non si riusciranno ad arginare gli interessi corporativi rischia di fallire l’attuazione del Pnrr e i 200 miliardi ad esso collegati.