Andrea Lavazza venerdì 25 marzo 2022
Putin avrebbe già fissato per il 9 maggio la conclusione delle operazioni militari. Intanto l’Ucraina vede aumentare l’esodo dei profughi e le distruzioni che minano il suo futuro economico e sociale
Una guerra con il giorno di conclusione annunciato quasi un mese e mezzo prima risulterebbe bizzarra se non fosse più che tragico ciò che sta avvenendo in Ucraina. Davvero Putin pensa di poter comandare la fine delle ostilità per il 9 maggio, il Giorno della Vittoria che celebra il successo sui nazisti durante la Seconda guerra mondiale? Può certo essere un messaggio propagandistico per tenere alto il morale delle truppe che stanno subendo pesanti perdite.(oltre 1.100 quelle ammesse nelle ultime ore, almeno dieci volte tanto secondo Kiev e la Nato). Ma potrebbe anche essere il segno che il Cremlino vuole chiudere un’operazione costosa e meno trionfale del previsto. A questo scopo, non è da escludere un’escalation finale con l’utilizzo delle armi non convenzionali di cui si parla ormai da tempo e che il Presidente americano Biden (ieri in visita in Polonia) ha posto come linea rossa, superata la quale gli Stati Uniti sentirebbero il dovere di entrare attivamente nel conflitto. Oppure, nella migliore delle ipotesi, la data del 9 maggio è la conferma della volontà di concentrarsi solo sulla liberazione del Donbass, come il Ministero della Difesa ha fatto sapere.
Dopo la promessa di nuove forniture di armi da parte dell‘Alleanza Atlantica e degli Usa in particolare, l’esercito ucraino tiene le sue posizioni nel 30° giorno di combattimenti. L’opera di cannoneggiamento russa non cessa e a farne le spese sono ancora i civili. A Mariupol, le vittime sarebbero oltre cento al giorno, 300 le persone che sarebbero rimaste sotto le macerie del teatro bombardato giorni fa, malgrado le grandi scritte “bambini” disegnate alle sue estremità e visibili anche dal cielo.
L’andamento delle operazioni sul terreno non favorisce passi avanti nel negoziato, né la diplomazia appare attualmente in grado di dare un colpo d’ala. La considerazione che emerge a un mese pieno dall’invasione di Mosca è che l’Ucraina sta eroicamente tenendo testa all’aggressione sul piano militare, ma sta mettendo un’ipoteca sul suo futuro prossimo, a meno di una clamorosa e inattesa resa da parte del Cremlino. L’esodo dei profughi, pur a ritmo più ridotto, non si arresta e presto saranno 4 milioni gli esuli oltre confine. Sono in prevalenza giovani donne con i loro figli, più una piccola frazione composta da anziani. In patria, moltissimi giovani sono in armi al fronte o nelle città assediate, Gli sfollati interni potrebbero essere 6 milioni, una cifra in rapido aumento con l’estendersi dei bombardamenti russi verso le zone occidentali. A ciò ora si aggiungono le deportazioni in territorio nemico, soprattutto dall’Est, quantificate per ora, forse con un’esagerazione, in circa mezzo milione.
L‘Ucraina che, sorretta pienamente dal diritto internazionale, non vuole perdere territori ed essere amputata di ampie parti rischia tuttavia di smarrire una generazione. Molte famiglie si riuniranno finita la guerra, potrebbe però essere un abbraccio che si compie all’estero, se le devastazioni al tessuto economico si tradurranno, com’è probabile, in povertà, disoccupazione e ridotte prospettive. E a partire saranno, inevitabilmente, come dovunque accade, i giovani. I più istruiti e dotati di competenze ricercate troveranno facilmente lavoro in Europa e negli Stati Uniti, depauperando ancora di più una società che avrà bisogno di ricostruire e rinascere. Forse lo spirito patriottico che ha ricompattato la nazione e sta animando la resistenza indurrà tanti a rimanere per servire il proprio Paese anche nella vita civile.
Ma non sarà facile. Perché qualunque forma prenderà l’accordo di pace con Mosca, esso comporterà anche nuovi equilibri e nuovi assetti sociali. Il tema della lingua russa, per esempio, tornerà centrale.
I russofoni, secondo Putin, sono stati pesantemente discriminati nel Donbass, e questa circostanza ha fornito una parvenza di giustificazione all‘“operazione speciale” avviata il 24 febbraio. Davanti ai colpi dell’invasore, molti russofoni, politicamente distanti da Zelensky, si sono comunque compattati sotto la bandiere azzurra e gialla. A fine conflitto, le divergenze potranno ricomparire e le norme che Mosca già chiede nell’abbozzo di negoziato in corso stabiliranno un ruolo maggiore per il russo nel Paese. Il partito di opposizione Holos presente in Parlamento con 20 deputati ha subito una scissione l’anno scorso proprio su una legge che introduce quote minime di film da produrre in lingua ucraina. Questo dice la delicatezza e le difficoltà dei futuri scenari. Oggi è tutto coperto dalle bombe, domani potrà essere una ferita del complesso dopo-guerra ucraino.