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di Ettore Maria Colombo da TiscaliNews del 17 novembre 2019
Popolo delle sardine batte Salvini due a uno, si è già visto. La “piazza delle sardine” di Piazza Maggiore, all’aperto, ha battuto il comizio al chiuso di Matteo Salvini al Paladozza, questo è un dato di fatto ormai acclarato.
Tenutisi entrambi giovedì scorso, a Bologna, i due eventi sono stati paralleli quanto speculari. Dodicimila persone (l’obiettivo era di raccoglierne 6 mila, quante ne contiene il Paladozza, ma erano il doppio) in piazza Maggiore, richiamate in modo spontaneo, e anche naif, grazie al tam-tam dei social, senza spendere un euro e senza alcun tipo di organizzazione partitica o politica dietro, da una parte, per le ‘Sardine’.
Dall’altra, seimila persone al chiuso, in un palazzetto, per un evento programmato da tempo e in vista del quale la Lega ha investito tutto: soldi, organizzazione, pubblicità, militanti. Che sono arrivati in buon numero, certo, ma ‘cammellati’ (cioè portati anche da altre regioni) con tanto di pullman per una manifestazione di partito old style, una esibizione di muscoli vistosa, ordinata, ma priva di guizzi. Fin qui, si può dire, “tutto bene”. Ma come si pongono, invece, le ‘sardine’, il popolo variegato e cosmopolita, per lo più giovanile e apartitico, nei confronti dei partiti della Sinistra storica, Pd e non solo? Qui il ragionamento e le considerazioni si fanno più complesse, articolate, difficili.
La tre giorni del Pd ha ‘oscurato’ la convention di Renzi
Innanzitutto, va detto che, negli stessi giorni, intercorreva un’altra sfida, tutta interna ai partiti dell’attuale sinistra o, meglio, centrosinistra, quella tra la giornata nazionale delle proposte schock sull’economia, organizzata da Italia Viva a Torino, venerdì scorso, e la tre giorni organizzata dal Pd sempre a Bologna, “Tutta un’altra storia. Gli anni Venti del Duemila”. Una sfida che il Pd ha vinto in surplace e con grande facilità. Certo, si trattava di un giorno solo contro tre, di un partito neonato contro un partito strutturato, di un’organizzazione strutturata e consolidata, quella del Pd, contro una giovane e gracile, quella di Iv, di Bologna – dove il Pd ‘gioca in casa’ – contro Torino, piazza ‘fredda’ di suo, ma il risultato non cambia. Pd batte Iv tre a zero.
Il partito di Renzi è puro ceto (e tatticismo) politico
A Torino, raccontano le cronache, non c’è stato calore: poco più di 200 persone, sala piccola, un terzo dei presenti sono giornalisti e fotoreporter, cinquanta tra parlamentari e amministratori locali – la ‘classe dirigente’ di Iv – occupano tutte le prime file. Il commento è facile: “Ci sono più addetti ai lavori che gente normale”. Il gotha di Italia Viva, al Teatro dei Ragazzi di Torino, per ascoltare Renzi, c’è tutto: Boschi, Rosato, Marattin, Faraone, Bonifazi, etc. Mancano le ‘persone’, i possibili elettori di un partito che, per ora, nei sondaggi, non si schioda dal 5% dei consensi. E anche il ‘piano schock’ (120 miliardi che, nei prossimi tre anni, dovrebbe sconvolgere e risollevare l’economia italiana) lascia perplessi: Renzi parla di un disegno di legge che Iv presenterà a Conte a gennaio, cioè a manovra conclusa, quindi non si capisce come si finanzia, con quali risorse, molte delle opere annunciate come ‘nuove’ erano già contenute nel dl Sblocca Italia (2014) del governo Renzi, che poi si era perso strada, 74 miliardi sono opere bloccate da anni e non si vede come possano ripartire, etc. Resta, sul taccuino, il retrogusto amaro della ‘minaccia’ politica di Renzi alla stabilità del governo (“Se il governo non vuole cadere, abbassi le tasse e apra i cantieri”). Certo è che l’appuntamento non ‘buca’ i media, viene oscurato dalla tre giorni del Pd, dà l’idea di un partito fatto di ceto politico, anche se l’organizzatore Rosato annuncia che “siamo già a 25 mila adesioni”, al partito, e Renzi che “presenteremo liste in tutte le Regioni al voto nel 2020”, tranne l’Emilia, dove Iv preferisce candidare dei nomi suoi nella lista Bonaccini. Un modo furbo, dato che in Emilia tutti i partiti giocano la partita della vita, per non contarsi, ma per poter rivendicare, se ci sarà, un pezzo di vittoria e per poter recriminare contro la lista del Pd se, invece, sarà sconfitta. E anche il Renzi che, oggi, ripete “Noi apriamo a tutti, a destra e a sinistra, purché si parli di persone perbene, fresche, innovative” mentre la sua ministra, Teresa Bellanova, apre esplicitamente le porte a esponenti di Forza Italia del calibro di Mara Carfagna e Renata Polverini, sa tanto e solo di gioco politico, di alchimie di Palazzo, di un partito forte a livello di ‘ascari’ parlamentari, ma che stenta a mettere radici nella società, tra elettori non politicizzati.
“Tutta un’altra storia” nel Pd: tanta gente, buon clima
Tutt’altra musica quella che suona, per il Pd, a Bologna. Certo, la tre giorni dem si svolge, appunto, nella città rossa per eccellenza. Certo, la mobilitazione del partito, al pari della preoccupazione di perdere l’Emilia, è massima. Certo, il partito è strutturato, ha una lunga storia, sa come si fanno i comizi e i convegni, può contate su una – per quanto ferita negli anni – militanza, sui suoi dirigenti, su amministratori locali di lungo corso ed esperienza, su qualche residua forma di collateralismo (il sindacato, le coop, l’Arci, etc.). Ma un appuntamento che si preannunciava noiosissimo – tre giorni di dibattito su tutto e su niente, tavole rotonde del genere “brevi cenni sull’universo” (immigrazione, scuola, economia, ambiente, etc.) – diventa un happening collettivo dall’immediato sold out. Il palazzo Re Enzo è strapieno già nel primo pomeriggio del primo giorno, venerdì scorso, vengono aperte subito due sale laterali, 2 mila persone affollano le sale, il clima è, stavolta, sorridente e sereno. Il secondo giorno, sabato, va ancora meglio: di prima mattina, le persone sono già 3mila. Un successo netto, indubitabile.
Zingaretti – mentre Franceschini parla di governo, alleanze, rapporti con i 5Stelle da rendere “stabili e duraturi” a dispetto dei santi (cioè di un M5S che col Pd non si vuole alleare e che, per l’Emilia, sceglie il minimo sindacale: non presenterà liste, una forma di gentile desistenza mascherata) – vola alto: vuole evitare che “tornino gli anni 20 del ’900”, combatte per “un’Italia più felice”, assicura che “il Pd è vivo e combatte per indicare al Paese una via migliore”, poi tocca il punto: “Con grande umiltà bisogna mettersi al servizio della domanda di futuro della piazza di Bologna”. Ecco, appunto: come può il Pd intercettare la ‘domanda di futuro’ del movimento delle sardine? Risposta non facile.
Chi sono le ‘sardine’ e quali sono i loro obiettivi?
Innanzitutto va detto di chi stiamo parlando. Gli ideatori sono quattro giovani millennials: Mattia Santori (32 anni, ricercatore e istruttore di sport per bambini e disabili), la toscana Giulia Trappoloni (29 anni, fisioterapista), il bolognese Roberto Marotti (31 anni ingegnere, che organizza laboratori creativi di riciclo della plastica) e Andrea Garreffa (30 anni, 3x giramondo, ora guida turistica). Hanno vissuto insieme per anni, a Bologna, e in una cena si inventano l’idea di un flash mob ironico contro l’annunciata presenza di Salvini in città. Al grido “Bologna boicotta Salvini, Bologna antifascista”, si inventano la storia delle sardine perché sul Crescentone, il marciapiede rialzato di piazza Maggiore (1800 mq), più di 6 mila persone ci stanno solo se “si stringono come sardine” mentre, tre anni fa, Salvini aveva parlato di “100 mila persone” che erano venute ad ascoltarlo, in quella piazza. Sotto l’apparenza apolitica e apartitica, però, l’idea di “risvegliare il popolo della sinistra che in questi anni è rimasto sul divano a vedere la tv, a lamentarsi e basta” c’è. Insomma, nei ‘quattro moschettieri’ (con un leader che è Mattia) non c’è solo l’idea di fare ‘muro’ contro la retorica populista, contro nazionalismo, razzismo e salvinismo, ma anche “un nuovo modello di fare politica e nuovi modi di comunicare”. La manifestazione scorre via pacifica, ironica, senza bandiere di partito: è un successo, per i partecipanti (12 mila) e per l’eco sui media. E ha già le repliche pronte: un altro gruppo di studenti universitari lancia un flash mob al grido “Modena non si lega”. Gli ideatori delle sardine sono pronti a fornire il know-how già acquisito, a fare rete. Gruppi di sardine sono pronti a nascere in tutt’Italia. Loro, i quattro moschiettieri, assicurano che il Pd non li ha contattati, che si vince solo se ci si mostra ‘apartitici’ ma non ‘apolitici’, che “l’idea di Salvini dell’uomo solo al comando è un modo di comunicare già vecchio, obsoleto”, che “le modalità devono essere l’auto-organizzazione e lo spontaneismo”, ma sanno che, per fermare Salvini, bisogna votare Bonaccini, il candidato del Pd: “Senza di noi, senza la mobilitazione della gente normale, non ce la farà mai”.
Il Pd, stavolta, non mette il cappello, ma cerca l’alleanza
Nel Pd ben lo sanno, quindi non cercano di metterci su il cappello, di ‘strozzare’ il movimento, come fu con quello dei girotondi nel 2000-2001, che veniva vissuto dai Ds di allora come un’Opa ostile ed esterna (Cofferati) sul partito, e neppure di ignorarlo o snobbarlo, come fu con il primo, grande, Vaffa-Day, agli albori del grillismo, proprio a Bologna (2007). Nel Pd sono consapevoli che “se avessimo organizzato noi quella piazza non sarebbe venuta tutta quella gente. Ora dobbiamo assecondarla e interpretarla”. Stavolta, il popolo è ‘più avanti’ del partito, ha antenne e soluzioni migliori, è più radicato nelle società, è più smart, “ma, per la prima volta, la gente non ci sputa addosso, anzi ci dice: vogliamo aiutarvi” riflettono stupiti i dirigenti dem che fanno capannelli e parlano solo di questo a palazzo Re Enzo. Anche l’M5S, ormai sganciati dalla realtà e chiusi nel Palazzo, ha tanto materiale su cui riflettere: la rivolta non è ‘contro’ la Politica, chiede ‘più’ politica, ma migliore.
Governismo o spontaneismo? La scelta difficile del Pd
Ma quanto le sardine diventeranno il ‘pesce-pilota’ di un nuova proposta politica che non si traduca nel solito, ovvio, refrain, tipico del Pd, di ‘aprirsi’ alle liste civiche e alle forze sociali, il “civismo” di cui parla sempre Bersani o la “società civile” di cui parlava, ai suoi tempi, Prodi? L’anima governista del Pd, gli equilibri e i compromessi, l’obbligo di sostenere il governo a qualsiasi costo, rischiano di ‘gelare’ l’apporto vitale del popolo delle sardine. Il Pd deve decidere se diventare una “grande forza tranquilla”, come vorrebbe il ministro Franceschini, che si allea per conquistare le ‘casematte’ del Potere (e, quindi, anche per perseguire immediate convenienze), un partito che ‘vive’ solo per andare al governo (Italia Viva, di fatto, questo è)? Oppure vuole essere un partito-movimento che recepisce le istanze della società, se ne fa carico, le esalta e dà loro voce in Parlamento, come era il Partito socialista italiano che rappresentava le grandi masse operaie e contadine del primo ’900, all’alba dell’insorgere del ‘vero’ fascismo. Un partito che, massimalista o riformista che fosse, non aveva paura di fare battaglie a viso aperto e anche, ovviamente, di andare all’opposizione per svolgere il suo ruolo da lì. Il Pd avrà questo coraggio? Le sardine attendono una risposta.