di Andrea Marinelli e Guido Olimpio
Stati Uniti e Gran Bretagna sospettano che la «riduzione di attività» annunciata da Mosca nel settore di Kiev e Chernihiv nasconda un inganno: quella di Putin sarebbe una pausa mascherata da ripiegamento. Gli scenari di strateghi e intelligence.
Il grande scetticismo. È questo il titolo dell’attuale fase militare. Stati Uniti e Gran Bretagna, insieme a molti alleati, sospettano che la «riduzione di attività» annunciata da Mosca nel settore di Kiev e Chernihiv nasconda un inganno. Secondo loro si tratta di una mossa per guadagnare tempo, leccarsi le ferite, dare il cambio a reparti esausti e sfiancati da perdite. Non è quindi una concessione di Putin — questa è la tesi — bensì una necessità: una pausa mascherata da ripiegamento, una mossa accompagnata da rotazioni di unità, come confermerebbe l’arrivo di 2 mila soldati russi dalla Georgia e di un migliaio di mercenari della Wagner, oltre a qualche centinaio di siriani assoldati, dice la Bbc, con ottime paghe. Secondo il governo ucraino, ci sarebbero 14 centri di reclutamento in tutta la Siria: un coinvolgimento sul quale il Pentagono è sempre stato cauto.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
A conferma dei sospetti sulle intenzioni di Mosca sono citati numerosi sviluppi, a cominciare dai bombardamenti incessanti su Kharkiv, Chernihiv e sulla stessa capitale: l’amministrazione militare regionale sostiene che, nella notte in cui l’attività è stata «ridotta», sull’area di Kiev sono piovuti almeno 30 missili che hanno colpito infrastrutture e aree residenziali. A Chernihiv, il sindaco afferma che la città resta sotto un «colossale» attacco. «Questa è un’altra conferma del fatto che la Russia mente sempre», ha detto alla Cnn il primo cittadino Vladyslav Atroshenko. «Dicono che riducono l’intensità, ma in realtà hanno aumentato quella degli attacchi». Sono colpi di sbarramento e copertura per le manovre di riorganizzazione, ma sono anche un modo per ribadire la capacità di distruggere: siete nostri ostaggi, è il messaggio di morte che arriva da Mosca.
Gli strateghi e i collaboratori di Zelensky, oltre a registrare gli attacchi, formulano gli scenari possibili.
1) Un movimento di truppe di Mosca verso il settore orientale, dove la resistenza ha messo a segno successi significativi (a Sumy).
2) Una spinta nel settore meridionale, dove Mariupol continua a tenere nonostante il martirio quotidiano: mercoledì, fra le altre cose, sono stati colpiti un ufficio dell’Ue e uno della Croce Rossa. Il piano – affermano gli osservatori – sarebbe sempre quello di circondare in una sacca il contingente ucraino, per poi avere una posizione di vantaggio. A ciò si aggiunge la creazione del corridoio Mariupol-Crimea. Del resto, lo Stato maggiore di Putin ha indicato la regione – insieme al Donbass, sempre martellato – come priorità nell’operazione speciale. Lo ha ribadito oggi il ministero della Difesa via Tass precisando che il raggruppamento delle forze a Kiev serve a questo scopo. L’eventuale affermazione militare nel quadrante potrebbe essere usata in chiave di trattativa, ma anche semplicemente per riaffermare il fatto compiuto (non negoziabile).
3) Lo zar tiene nel dubbio il nemico, lo costringe comunque a stare in guardia a tutela della capitale e tenta la spallata altrove.
4) Qui potrebbe emergere l’opzione C o D – dipende dal calcolo – con il Cremlino che insegue un obiettivo evidente: l’Ucraina monca, senza uno sbocco al mare reale, privata di aree economiche strategiche, ridimensionata nel territorio e sempre esposta alle lunghe gittate. Sistemi missilistici, razzi e cannoni sono sufficienti e possono essere comunque tutelati da un cerchio di sicurezza: avendo già in mano ampie zone, lo sforzo logistico è inferiore.
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INFO
In nessun altro Paese occidentale sembrano esserci così tanti politici o intellettuali che si rifiutano di condannare con nettezza l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Anzi, ne riconoscono in qualche modo le ragioni e sono contrari agli aiuti armati alla resistenza. Tommaso Labate racconta chi sono e quali sono le loro provenienze politiche, mentre Barbara Stefanelli fa il punto sulle ultime 24 ore di combattimenti e (soprattutto) trattative.
Questo rischio può essere evitato? In campo occidentale sta prendendo piede il partito dell’offensiva, perché — affermano — l’esercito di Zelensky non solo non perde, ma può persino vincere. Inglesi e americani, emerge da Londra, punterebbero a una sconfitta di Putin sul campo. Per ottenerla, però, a Kiev serve un arsenale adeguato. Riparte dunque la richiesta di armamenti con cui rovesciare il quadro di questo conflitto: tank, caccia, artiglierie varie, sistemi lanciamissili multipli, scudo anti-aereo, tutti necessari per avviare una vera controffensiva. È un dispositivo ben diverso dall’ibrido — un mix di regolari e guerriglia — che ha fermato l’Armata nel primo mese di campagna: la meta non sembra proprio dietro l’angolo.
I politici occidentali consultano l’intelligence, ora con maggiore consapevolezza dopo che aveva previsto con precisione l’invasione, ma serve prudenza nella lettura degli eventi. La medesima intelligence era convinta — e lo aveva comunicato al Congresso — che gli ucraini sarebbero stati sconfitti in poche settimane: ora sarebbe utile sapere quale sia il giudizio odierno sullo status dei resistenti. Il martellamento di news — anche da fonti aperte — ci consegna un quadro negativo per i russi: affamati, infreddoliti, privi di pezzi di ricambio, demotivati, disorganizzati, con decine di ufficiali uccisi, con i mezzi inceneriti.
Lo zar, insomma, deve rinunciare all’arco di trionfo nel cuore di Kiev. Ed è una faccia della medaglia. Al tempo stesso può decidere — chi osa criticarlo in Patria? — che è comunque una vittoria aver demolito una parte delle infrastrutture dell’avversario. Magari, una volta ripreso ossigeno, ordinerà un nuovo assalto.
Dall’altro lato Zelensky potrà rivendicare di non aver sventolato la bandiera della resa e di non essere andato in esilio, come gli stessi americani gli avevano suggerito ritenendo che non avesse scampo. Siamo nell’incertezza più completa, ma non siamo fuori strada se affermiamo che molti, in questa tragedia, hanno spesso sbagliato nella «lettura» e nelle previsioni.