L’ormai ex segretario particolare di Elena Bonetti, Mattia Peradotto, guiderà un organismo che negli altri Paesi europei viene tenuto lontano dalla politica. Una laurea, un master, tre anni in aziende private e poi tanta politica, è stato preferito ai dirigenti interni e al direttore uscente che rivendica ben altra esperienza. “La nomina è l’ennesimo schiaffo a questioni delicate che la politica italiana tratta con leggerezza quando non con fastidio”, commenta la docente di Diritto dell’Unione Chiara Favilli.
di Franz Baraggino | 2 SETTEMBRE 2022
L’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) è da sempre sotto osservazione delle istituzioni europee per la scarsa indipendenza dalla politica italiana, che lo volle organo interno al Dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio. E il governo che fa? Da agosto gli mette a capo l’ex tesoriere del partito di Matteo Renzi, Mattia Peradotto, fino a ieri segretario particolare della ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, la renziana Elena Bonetti. Dopo il bando della presidenza del Consiglio e la decisione della commissione interna, la nomina è ora al vaglio della Corte dei conti, che ci dirà se la scelta del trentenne renziano ha davvero tutti i requisiti per meritargli i 160mila euro di stipendio. Ma soprattutto, può essere una scelta all’altezza di un organismo che l’Unione europea vuole indipendente nello svolgimento delle sue funzioni e che in Italia fa anche le veci di un’Autorità per i diritti umani che ci ostiniamo a non istituire nonostante la perenne denuncia delle Nazioni Unite? “No, si tratta invece dell’ennesimo schiaffo a una materia delicata che trattiamo con leggerezza quando non con fastidio: la lotta a tutte le discriminazioni”, è la risposta di Chiara Favilli, docente di Diritto dell’Unione europea all’università di Firenze ed esperta in materia antidiscriminatoria. Alternative? Oltre ai dirigenti interni alla presidenza del Consiglio che si erano candidati, c’era l’opzione del direttore uscente. “Avevo dato alla ministra Bonetti la mia disponibilità a rinnovare l’incarico”, racconta a ilfattoquotidiano.it Trianda Loukarelis, che oggi è presidente del Comitato direttivo sulla antidiscriminazione, la diversità e l’inclusione (CDADI) del Consiglio d’Europa e nel curriculum ha esperienze che coinvolgono Unicef, Ocse, Fao.
Proprio dal curriculum è il caso di partire. In quello di Mattia Peradotto pubblicato sul sito della presidenza del Consiglio, dopo la laurea magistrale in Ingegneria gestionale, un master all’estero e tre anni in altrettante aziende private come L’Oreal e Technogym, nel 2016 passa al Parlamento, prima come segretario di Francesco Bonifazi alla Camera e poi nella segreteria della dem Anna Rossomando alla vicepresidenza del Senato. Fuori dal cv resta l’attività per il partito. Lo staff organizzativo della Leopolda a Firenze, il ruolo di segretario nella fondazione Eyu accanto allo stesso Bonifazi e quello di tesoriere di Italia Viva – porta la sua firma il bilancio 2020. Fino a diventare segretario particolare della Bonetti: 75mila euro lordi l’anno di stipendio. Meno della metà di quello che prenderà all’Unar dove il compenso è quello di un dirigente di prima fascia. Il suo curriculum è sufficiente ad essere preferito ai dirigenti interni della presidenza del Consiglio che si erano candidati per l’incarico? “Sono onorato dell’incarico che mi è stato conferito e che ricoprirò con massimo impegno e responsabilità”, si limita a dire l’interessato dal sito dell’Unar. Contattato da ilfattoquotidiano.it attraverso il partito, ad ora non ha richiamato.
Meglio Peradotto dei dirigenti interni? Può darsi. Ma anche il direttore uscente Loukarelis aveva dato la disponibilità al rinnovo dell’incarico, “a beneficio – spiega – della continuità del lavoro di un Ufficio dove il passaggio di testimone rischia di compromettere milioni di euro delle Politiche per l’antidiscriminazione”. Nel suo curriculum, ruoli tecnici in ministeri e Autorità e direttivi in organismi come l’Unicef. “Mai iscritto a un partito”, ci tiene a sottolineare, anche lui fu scelto da un politico, l’allora 5stelle sottosegretario a palazzo Chigi Vincenzo Spadafora, del quale Loukarelis fu capo della segreteria tecnica. Oggi, di fronte alla nomina di Peradotto rivendica una selezione più severa: “Tre anni fa, quando venni nominato all’Unar, nell’interpello era richiesta una qualificata esperienza nei rapporti istituzionali con l’Unione Europea e le organizzazioni europee e internazionali; nell’attività di direzione e coordinamento nell’ambito di strutture complesse, organizzazioni o enti nazionali e internazionali; in materia di politiche sociali con particolare riferimento al settore dei diritti umani e alle politiche di inclusione; di rappresentanza ufficiale governativa in comitati, commissioni e gruppi di lavoro a livello nazionale, comunitario ed internazionale”, spiega. E aggiunge: “Tutte cose sparite o ridimensionate nell’interpello di quest’anno, quello concluso ad agosto con la nomina di Peradotto”.
Prima di Loukarelis il governo di Paolo Gentiloni aveva nominato il sociologo Luigi Manconi. Un protagonista della politica, certo, ma anche un alfiere delle battaglie contro le discriminazioni e in difesa dei diritti umani. Di più, Manconi accettò l’incarico a titolo gratuito. Ma non è questo il punto. E a poco servono le rassicurazioni della ministra Bonetti quando ricorda che Peradotto “ha già presentato formali dimissioni dal ruolo di mio segretario e di tesoriere di Italia Viva”. Il punto è che Peradotto è solo la goccia che fa traboccare un vaso già colmo. La direttiva europea 43 del 2000 volle in tutti i Paesi un Organismo paritario capace di svolgere le proprie funzioni in modo indipendente. “Così è in tutti i grandi paesi europei”, spiega la docente di Diritto dell’Unione Chiara Favilli. “L’Italia invece ha attuato la direttiva nel peggiore dei modi, creando un ufficio all’interno del dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio: un’articolazione del governo“. Ai tempi c’era Silvio Berlusconi e la sua ministra alle Pari opportunità era Stefania Prestigiacomo. Ma anche in seguito l’Unar ha continuato ad attirarsi le antipatie della politica, della quale “dovrebbe essere il pungolo in materia antidiscriminatoria”. La stessa Giorgia Meloni, quando l’Ufficio la invitò a usare termini più adeguati nei confronti dei migranti, tuonò per lesa maestà. E quando alla competenza su discriminazione razziale ed etnica se ne aggiunsero altre, come quella in materia di orientamento sessuale, la Lega si oppose e più tardi attaccò l’iniziativa dell’Unar contro l’omofobia dedicata alle scuole, che infatti ebbe vita breve.
Nel suo ultimo rapporto, la Commissione europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI), ribadisce una volta di più che l’Unar non rispetta “il principio di indipendenza e che i suoi poteri previsti dalla legge sono incompleti”. E così fa l’Agenzia europea sui diritti fondamentali. “Altrove in Europa hanno anche il potere di infliggere sanzioni, produrre decisioni vincolanti e imporre determinati comportamenti a soggetti pubblici e privati”, spiega Favilli. Mentre in Italia l’Unar si limita a redigere pareri, effettuare inchieste e relazioni, ad assistere le vittime e a tentare la strada della moral suasion quando a discriminare sono le istituzioni stesse, come nel caso di persone escluse da servizi pubblici che gli spettano di diritto. Quanto alla politica nazionale, nei confronti di governo e Parlamento la funzione rimane consultiva. “Se poi alla guida di un organismo nato male e volutamente limitato nei poteri ci mettiamo un uomo di partito, come possiamo pretendere – domanda la docente – che svolga la fondamentale funzione di verifica sulle politiche dei governi, sulla loro coerenza rispetto alle leggi internazionali, alle direttive europee, ai diritti umani?”.