Sono 67 le persone indagate nel corso dell’inchiesta sull’ndrangheta a Roma: l’indagine è arrivata alla sua conclusione e ora sono a rischio processo.
da del 3 FEBBRAIO 2023:18:33
A cura di Beatrice Tominic
Si è chiusa l’indagine sulla maxi inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma contro il primo gruppo “locale” della ‘ndrangheta romana. Secondo la notifica del 415bis, a rischiare il processo sono 67 indagati. Fra loro i due boss che, secondo le ricostruzioni del Pm Musarò, sarebbero i leader dell’organizzazione, Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglia di Cosoleto, Comune in provincia di Reggio Calabria. Il gruppo aveva iniziato ad essere attivo nella capitale nel 2015, dopo aver ricevuto il benestare dalla Regione d’origine. “A Roma siamo una propaggine di là sotto”, dicevano in un’intercettazione gli indagati.
Le accuse contestate
Le 67 persone indagate potrebbero presto ritrovarsi sul banco degli imputati. Nei loro confronti, a vario titolo, sono contestate le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa. A ricostruire la situazione, nel corso dell’inchiesta coordinata dai Procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò, oltre al Pm Musarò anche Francesco Minisci e Stefano Luciani.
Proprio di loro parlavano alcuni degli indagati che adesso rischiano il processo: “C’è una Procura… qua a Roma … era tutta …la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino”, riporta il Messaggero. E, ancora: “Questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri …Cosoleto … Sinopoli… tutta la famiglia nostra…maledetti”, dicevano, facendo riferimento a chi prima di arrivare nella Capitale aveva già lavorato in Calabria.