Di fatto, l’unico momento in cui Mario Draghi si è mostrato è stato tuttavia a metà giornata, sul palco dell’auditorium allestito dalla presidenza europea del Belgio per l’incontro sui diritti sociali dell’Ue. E tanto è bastato, all’ex presidente della Bce, per fornire un indizio concreto sulla portata del report sulla competitività che sta preparando. Dando, allo stesso tempo, nuova linfa a chi nel Vecchio continente lo vuole come guida dell’Europa del futuro. Il suo discorso ha avuto toni quasi presidenziali. E, presentato con l’ormai celebre ‘whatever it takes’, l’ex premier è tornato a scuotere l’Europa: davanti al mondo che “sta cambiando”, l’Unione ha bisogno “di un cambiamento radicale” e di agire unita “come mai prima”, ha scandito Draghi.
Un appello che nelle prossime settimane finirà nel suo report pronto a essere svelato dopo le Europee e tappa finale di un percorso per il rilancio dell’economia comunitaria che inizierà giovedì, con la presentazione del dossier di Enrico Letta sul mercato unico. La trasformazione dell’Ue, ha avvertito Draghi, dovrà coinvolgere l’intero continente per restare al passo con gli Stati Uniti e la Cina, impegnate a rafforzare le loro economie “a scapito delle nostre”.
Nei suoi oltre venti minuti di presentazione, l’ex numero uno dell’Eurotower ha usato sempre il plurale. “Ripristinare la nostra competitività non è qualcosa che possiamo ottenere da soli o gareggiando a vicenda”, è stata l’esortazione. La sua ricetta per un’Unione che sia “adatta al mondo di oggi e di domani” guarda agli investimenti comuni necessari nei settori cruciali della difesa e dell’energia. Ma anche all’opportunità di avanzare sull’integrazione dei mercati dei capitali. Un passo definito fondamentale per il coordinamento delle politiche economiche comunitarie che, in mancanza di consenso unanime – ha evidenziato Draghi -, potrebbe essere compiuto anche affidandosi a una cooperazione rafforzata tra i Paesi volenterosi di avanzare. Le sfide epocali a cui l’Europa del futuro è chiamata sono urgenti al punto da non potersi permettere “il lusso di aspettare fino alla prossima modifica dei trattati”, soprattutto davanti alle offensive di Washington e Pechino che si muovono con politiche “uniche” e non frammentate, è stato l’avvertimento recapitato ai 27. Le parole di Draghi hanno fatto subito il giro d’Europa. Nei palazzi brussellesi è dato stabilmente in pista per la presidenza della Commissione o, in alternativa, per quella del Consiglio europeo.
A Bruxelles la sensazione è che, fino al voto, tutte le cancellerie manterranno le carte coperte. Ma più di una fonte non fatica ad osservare come, da quando è candidata del Ppe, lo scenario per Ursula von der Leyen sia cambiato. Emmanuel Macron non ha nascosto la volontà di un presidente della Commissione super partes. I socialisti e i liberali hanno irrigidito le loro posizione. E il caso Markus Pieper ha fiaccato ulteriormente la presidente uscente. Meloni, sull’ipotesi Draghi, mantiene la cautela nell’attesa del momento giusto in cui lei, come i suoi omologhi, usciranno allo scoperto. L’impressione è che si voglia far presto, blindando i top job prima delle elezioni americane di novembre. Il D-Day potrebbe essere il 17 giugno, ovvero la cena informale in cui i 27 parleranno di nomine prima del Consiglio europeo di fine mese. Dall’Italia, però, un netto endorsement già è arrivato ed è targato Ignazio La Russa.
“Draghi ha i titoli per ambire ad ogni ruolo”, ha sottolineato il presidente del Senato. Ben diversa la reazione di Francesco Lollobrigida, meloniano di ferro. “Bene che Draghi riconosca gli errori del passato, forse siamo stati anche noi a convincerlo”, è stata la frecciata del ministro. Eppure l’impressione è che tra Draghi e von der Leyen le destre europee non abbiano dubbi: “Non so se sarà presidente ma è bravo, mi piace”, è stata la sentenza di Viktor Orban che, da luglio, sarà anche presidente di turno dell’Ue.
Redazione Ansa