Nella tradizionale Messa in Basilica Vaticana nella notte di Natale, Francesco ricorda che l’amore del Signore non è negoziabile. L’umanità, prosegue, non è più sola perché Dio si è fatto uomo. Di fronte all’amore “folle” di Gesù non ci sono scuse: non aspettiamo – afferma – che il prossimo “diventi bravo” per fargli del bene o che la Chiesa sia perfetta per amarla. Diventiamo un dono: così, esorta, cambieremo noi e la Chiesa
Giada Aquilino – Città del Vaticano
La grazia di Dio “apparsa” la notte di Natale e “completamente gratuita” risplenda nelle vite di ciascuno di noi, anche se le nostre mani “sembrano vuote” o se vediamo il nostro cuore “povero di amore”. Questo l’auspicio del Papa celebrando la Santa Messa della notte di Natale in una Basilica Vaticana affollata da fedeli di ogni parte del mondo e riscaldata dai canti tradizionali che s’intrecciano alle preghiere anche in arabo, francese, cinese, portoghese, swahili (Ascolta il servizio con la voce del Papa).
È Gesù che si è fatto piccolo per noi
Dopo la processione d’ingresso, Francesco si sofferma davanti all’Altare della Confessione, svela e bacia la statua di Gesù Bambino accanto alla quale sosta un gruppo di piccoli con i costumi tipici dei Paesi d’appartenenza, tra cui Iraq e Venezuela. Quindi, prendendo spunto dalla Lettera di San Paolo Apostolo a Tito, il Papa riflette sulla grazia di Dio che avvolge “il mondo”. Si tratta, dice, dell’amore “divino” che “trasforma la vita, rinnova la storia, libera dal male, infonde pace e gioia”, mostrandosi “a noi: è Gesù” che “si è fatto piccolo” per essere “amato da noi”.
In Gesù Dio si è fatto Bambino, per lasciarsi abbracciare da noi. Ma, possiamo ancora chiederci, perché San Paolo chiama la venuta nel mondo di Dio “grazia”? Per dirci che è completamente gratuita. Mentre qui in terra tutto pare rispondere alla logica del dare per avere, Dio arriva gratis. Il suo amore non è negoziabile: non abbiamo fatto nulla per meritarlo e non potremo mai ricompensarlo.
Un amore non permaloso
Natale ci ricorda che Dio, spiega il Pontefice, continua ad amare ogni uomo, “anche il peggiore”.
Dio non ti ama perché pensi giusto e ti comporti bene; ti ama e basta. Il suo amore è incondizionato, non dipende da te. Puoi avere idee sbagliate, puoi averne combinate di tutti i colori, ma il Signore non rinuncia a volerti bene. Quante volte pensiamo che Dio è buono se noi siamo buoni e che ci castiga se siamo cattivi. Non è così. Nei nostri peccati continua ad amarci. Il suo amore non cambia, non è permaloso; è fedele, è paziente. Ecco il dono che troviamo a Natale: scopriamo con stupore che il Signore è tutta la gratuità possibile, tutta la tenerezza possibile. La sua gloria non ci abbaglia, la sua presenza non ci spaventa. Nasce povero di tutto, per conquistarci con la ricchezza del suo amore.
Belli per quello che siamo
Grazia, ricorda il Papa, è “sinonimo di bellezza”. Nella bellezza dell’amore di Dio stanotte “riscopriamo pure la nostra bellezza, perché siamo gli amati di Dio”.
Nel bene e nel male, nella salute e nella malattia, felici o tristi, ai suoi occhi appariamo belli: non per quel che facciamo, ma per quello che siamo. C’è in noi una bellezza indelebile, intangibile, una bellezza insopprimibile che è il nucleo del nostro essere. Oggi Dio ce lo ricorda, prendendo con amore la nostra umanità e facendola sua, “sposandola” per sempre.
Dio chiama anche noi
Ripercorrendo il Vangelo di Luca – “Oggi è nato per voi il Salvatore” – Francesco nota come la “grande gioia” annunciata ai pastori sia davvero “di tutto il popolo”. In quei pastori, “che non erano certo dei santi”, il Papa osserva come in fondo “ci siamo anche noi, con le nostre fragilità e le nostre debolezze”: come chiamò loro, “Dio chiama anche noi, perché ci ama”, dicendoci di non temere.
Coraggio, non smarrire la fiducia, non perdere la speranza, non pensare che amare sia tempo perso! Stanotte l’amore ha vinto il timore, una speranza nuova è apparsa, la luce gentile di Dio ha vinto le tenebre dell’arroganza umana. Umanità, Dio ti ama e per te si è fatto uomo, non sei più sola!
L’amore “folle” di Gesù
L’esortazione del Pontefice è ad “accogliere il dono”, a lasciarci amare da Dio: “prima di andare in cerca di Dio – dice – lasciamoci cercare da Lui” che ci cerca per primo, lasciamoci “avvolgere” dalla tenerezza di Gesù Bambino.
Non avremo più scuse per non lasciarci amare da Lui: quello che nella vita va storto, quello che nella Chiesa non funziona, quello che nel mondo non va non sarà più una giustificazione. Passerà in secondo piano, perché di fronte all’amore folle di Gesù, a un amore tutto mitezza e vicinanza, non ci sono scuse.
Un dono che cambia il mondo e la Chiesa
Accogliere la grazia è “saper ringraziare”, anche se – osserva – le nostre vite trascorrono “spesso lontane” dalla gratitudine. Eppure oggi “è il giorno giusto per avvicinarci al tabernacolo, al presepe, alla mangiatoia, per dire grazie”.
Accogliamo il dono che è Gesù, per poi diventare dono come Gesù. Diventare dono è dare senso alla vita. Ed è il modo migliore per cambiare il mondo: noi cambiamo, la Chiesa cambia, la storia cambia quando cominciamo non a voler cambiare gli altri, ma noi stessi, facendo della nostra vita un dono.
Custodire la gratuità
Gesù ha cambiato la storia “col dono della sua vita”, non ha aspettato che “diventassimo buoni” per amarci, ma si è donato gratuitamente.
Anche noi, non aspettiamo che il prossimo diventi bravo per fargli del bene, che la Chiesa sia perfetta per amarla, che gli altri ci considerino per servirli. Cominciamo noi. Questo è accogliere il dono della grazia. E la santità non è altro che custodire questa gratuità.
La culla di Dio
Francesco ricorda quindi quella che definisce una “graziosa leggenda”. Alla nascita di Gesù, i pastori accorrevano alla grotta con vari doni: “ciascuno portava quel che aveva”, chi i frutti del proprio lavoro, chi qualcosa di prezioso. Ma, “mentre tutti si prodigavano con generosità”, c’era un pastore “che non aveva nulla” da offrire, era poverissimo, se ne stava in disparte, “con vergogna”.
A un certo punto San Giuseppe e la Madonna si trovarono in difficoltà a ricevere tutti i doni, tanti, soprattutto Maria, che doveva reggere il Bambino. Allora, vedendo quel pastore con le mani vuote, gli chiese di avvicinarsi. E gli mise tra le mani Gesù. Quel pastore, accogliendolo, si rese conto di aver ricevuto quanto non meritava, di avere tra le mani il dono più grande della storia. Guardò le sue mani, quelle mani che gli parevano sempre vuote: erano diventate la culla di Dio. Si sentì amato e, superando la vergogna, cominciò a mostrare agli altri Gesù, perché non poteva tenere per sé il dono dei doni.
Il presepe
Quel “dono dei doni” che, al termine della Messa, dodici bambini ritrovano anche nella statua di Gesù Bambino che accompagnano col Papa in processione al presepe in San Pietro, prima di un momento di raccoglimento e preghiera.
(Ultimo aggiornamento: martedì 24 dicembre 2019, ore 23:13)