L’ente che vigila sui mercati finanziari non si oppone all’emissione di nuovi token, ma chede la creazione di due registri
da Tiscali.it di Marco Cavicchioli
La Consob (Commissione nazionale per le società e la Borsa) è l’ente pubblico italiano che si occupa del mercato finanziario, in particolare per tutelare gli investitori, per la trasparenza, per l’efficienza, e per lo sviluppo del medesimo.
La sua funzione di vigilanza pertanto si rivolge anche a quei progetti che mirano ad esempio a raccogliere fondi tramite l’emissione di token crittografici, ovvero le cosiddette ICO (Initial Coin Offer).
Qualche mese fa, a marzo del 2019, la Consob lanciò una consultazione pubblica proprio a tal proposito, in modo da arrivare a redigere un rapporto da consegnare al Legislatore italiano per proporre eventuali norme in merito.
Quel rapporto è stato pubblicato da poco, e sostanzialmente dice che adottando soluzioni che assicurino la liquidità per gli investimenti in questo settore e l’affidabilità delle piattaforme su cui avvengono, non ci sono particolari problematiche oltre a quelle già esistenti per altre forme di raccolte di fondi.
In altre parole possiamo affermare che la Consob con quel rapporto abbia “sdoganato” le ICO, visto che non ha sollevato questioni che potrebbero indurre il Legislatore a renderle illegali.
Tuttavia suggerisce di adottare due soluzioni, molto simili tra di loro, per dare garanzie agli investitori dell’affidabilità delle piattaforme sui cui avvengono tali raccolte e su cui si scambiano i token così creati.
Infatti le ICO mirano proprio a creare dei token che vengono venduti sul mercato da chi li crea per raccogliere fondi. A volte questi token assomigliano ad azioni di società, pur non essendolo a tutti gli effetti, mentre altre invece sono di fatto solo pre-vendite di beni, servizi o diritti.
Di fatto le norme già esistenti che regolano l’emissione di questo tipo di asset finanziari sono applicabili anche ai token, pertanto non sembra ci sia bisogno di nuove norme specifiche per i crypto asset. Tuttavia la Consob pone l’attenzione sulle piattaforme di custodia e di scambio, che invece ad oggi non risultano essere normate.
A tal proposito chiede che vengano creati due registri pubblici, gestiti da Consob stessa, a cui tutti i servizi di custodia e di scambio di crypto asset italiani debbano essere registrati per poter operare in tal senso.
L’idea non è nuova, visto che già in altri Stati funziona così (ad esempio Giappone e Corea del Sud), e laddove è già stata introdotta non ha provocato particolari problemi ai mercati crypto.
L’obiettivo che si pone la Consob quindi è fondamentalmente solo quello di ridurre i rischi, soprattutto per quanto riguarda gli investitori cosiddetti retail (ovvero quelli non professionali), visto che tali registri servirebbero allo stesso ente per poter controllare l’operato delle piattaforme di custodia e di scambio in modo da verificare che non si macchino di comportamenti illeciti.
Pertanto la Consob non si mostra contraria nè all’innovazione in questo settore, nè al fatto che i cittadini italiani possano decidere di rischiare investendo in crypto asset. L’importante è che tutto sia fatto nel rispetto della legge, in modo da scongiurare il più possibile truffe o incidenti legati ad impreparazione, incapacità o dolo da parte dei gestori degli strumenti tecnici che consentono questo tipo di investimenti.
Per un volta tanto l’Italia non si oppone al progresso, accettando che questo significhi anche sfidare lo status quo e le tradizioni consolidate.
6 gennaio 2020