Ecco la storia della possibile diffusione del virus così come viene raccontata dal “The New England Journal of Medicine”
da Tscali News
di Alessandro Spaventa
Questa è la storia di come il Coronavirus è arrivato dalla Cina al probabile paziente 1 in Germania, e da lì forse anche in Italia, così come raccontata dal “The New England Journal of Medicine”
Domenica, 19 gennaio 2020, notte fonda. Shanghai. All’1.35 del mattino un aereo decolla dal locale aeroporto. È un volo diretto, destinazione Monaco, Germania. Susan è seduta al suo posto, il volo è tranquillo, solo ogni tanto qualcuno tossisce nelle file dietro di lei. Alle 6.30 ora locale l’aereo atterra all’aeroporto di Monaco. Solita trafila, passaporto, bagagli e poi dritta in albergo per riposare un po’, cercare di smaltire il jetlag e magari fare un giro per la città, sempre bellissima. Il giorno dopo inizia il tour de force di tre giorni di lavoro.
Lunedì, 20 gennaio 2020. La mattina passa veloce a un convegno, il pomeriggio vari incontri di lavoro. Susan si sente bene, nessun sintomo. La sera va a letto stanca e ancora un po’ frastornata dal fuso orario, si addormenta. A mezzanotte però si sveglia, “si sente un po’ calda, ma non come se avesse la febbre”. Prende una pastiglia di un farmaco cinese da banco chiamato 999 come “misura preventiva così da essere in forma il giorno successivo”. La giornata infatti si presentava faticosa con vari incontri di lavoro e workshop, tra cui la riunione con Max, un giovane tedesco di 33 anni che lavora in una società partner. La pastiglia di 999 sarà l’unica medicina che Susan prenderà durante la sua permanenza in Germania.
Martedì, 21 gennaio 2020. Verso le 15.00, dopo gli incontri della mattina e il pranzo, Susan si sente affaticata. Pensa che la stanchezza sia dovuta al fuso orario visto che normalmente a quell’ora in Cina sono le 22.00 l’ora in cui va a dormire. Avverte però qualche piccolo doloretto “ad alcuni muscoli e alle ossa del petto”. Li sente solo quando tocca alcuni punti, ma ci sono. Però non si sente calda e non avverte altri sintomi. Nel corso della giornata ha avuto un’altra riunione con Max.
Mercoledì, 22 gennaio 2020. Incontri tutto il giorno fino alle 18.00. Durante la mattina Susan aveva sentito un po’ di freddo, ma era vestita da lavoro, forse troppo leggera. È bastato uno scialle per sentirsi meglio. Comunque la giornata era lungi dall’essere terminata. Aveva il volo in serata e doveva ancora arrivare in aeroporto. Lì di nuovo la solita trafila e poi la partenza alle 22.20.
Giovedì, 23 gennaio 2020. L’aereo atterra a Shanghai alle16.00 ora locale. Susan è stanca, ma a parte quello si sente bene. La sera però le cose cambiano, si sente male, ha qualche dolore al petto. Si misura la febbre: 38°C.
Venerdì, 24 gennaio 2020. Susan va all’ospedale a prendere le medicine per suo padre malato. Il resto del giorno passa in fretta tra le mille cose da fare. La sera si misura di nuovo la febbre: 38,7°C.
Sabato, 25 gennaio 2020. Susan si preoccupa e va da un dottore. Viene ricoverata in ospedale.
Domenica, 26 gennaio 2020. Susan ha una tosse asciutta, fastidiosa ma non frequente. Le fanno il tampone per il coronavirus: positivo.
Lunedì, 27 gennaio 2020. Susan viene trasferita in un altro ospedale. Informa la società in cui lavora della malattia. La società non perde tempo e comincia a tracciare tutte le persone con cui Susan è entrata in contatto negli ultimi tempi. Tra di esse c’è anche Max che viene inviato prontamente al Reparto di medicina per le malattie infettive e tropicali di Monaco. Quando arriva Max non ha la febbre e sta bene. Gli fanno due tamponi per il Coronavirus: positivo.
Martedì, 28 gennaio 2020. Tre impiegati della stessa società di Max risultano positivi al Coronavirus. Dei tre solo uno ha avuto contatti con Susan, gli altri due hanno avuto contatti solo con Max.
Il contagio è partito.
Susan e Max sono ovviamente nomi di fantasia. Il resto è la cronaca dei fatti così come riportata nell’articolo “Transmission of 2019-n-CoV Infection from an Asymptomatic Contact in Germany” e nel relativo allegato, a cura di Autori Vari, pubblicato il 5 marzo 2020 sul The New England Journal of Medicine.
6 marzo 2020