da di mercoledì 12 aprile 2023
Marco Roncalli ed Elisa Roncalli Ascolta
Giovanni XXIII firma l’enciclica Pacem in Terris in presenza del Segretario di Stato, il Cardinale Amleto Cicognani – Mondadori Portfolio
Sessant’anni fa, l’11 aprile 1963, veniva promulgata una delle encicliche più importanti del ‘900, da Giorgio la Pira definita “un manifesto del nuovo mondo”. È l’enciclica citata tante volte da Papa Francesco in questo suo decennio di servizio petrino, presente già nel suo primo messaggio “Urbi et orbi”, richiamata sovente dall’inizio della guerra in Ucraina, ma non solo, così vicina nello spirito e in tanti passaggi alla “Fratelli tutti”.
È la “Pacem in terris”, il testamento spirituale di Giovanni XXIII a cinquantacinque giorni dalla morte, il 3 giugno. Un documento del magistero della Chiesa – rivolto per la prima volta «a tutti gli uomini di buona volontà» – che affrontava più punti. Ricordava la possibilità della pace alla luce di quattro beni fondamentali: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà, capisaldi regolanti sia i rapporti fra i singoli esseri umani che quelli fra le comunità politiche.
Condannava il ricorso alle armi come mezzo per risolvere le controversie nell’era nucleare come folle (“alienum a ratione”): di più, ne esecrava non solo l’uso, ma perfino il possesso. Chiedeva il disarmo integrale e spazzava via il dogma (purtroppo riapparso) della “guerra giusta”.
Immaginava la pace non solo come assenza di guerra, bensì come traguardo di un processo educativo, spirituale, politico, economico. Dava risalto a quei “segni dei tempi”- dall’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici all’emancipazione femminile, dall’accesso di tutti i popoli all’indipendenza politica alla consapevolezza dell’ingiustizia di ogni discriminazione…– da scrutare come segnaletica di pace, oltre che modi nei quali la Storia muove pagine di Vangelo.
Riconosceva la Dichiarazione universale del ’48 – tappa fra le più importanti per le Nazioni Unite – non solo richiamando i diritti dell’uomo, ma specificandoli tutti, dando priorità alla dignità umana. Auspicava sforzi per il bene comune che – parole dell’enciclica- “costituisce la stessa ragione di essere dei poteri pubblici”, inquadrandolo inoltre in un orizzonte universale. Prefigurava la collaborazione fra credenti e non credenti, anche sulla base delle distinzioni tra l’errore e l’errante, i movimenti e le ideologie (distinzioni poi rimproverategli dentro e fuori la Chiesa).
Ma com’era nata questa “Magna Charta dell’umanesimo cristiano” come la chiamò Ernesto Balducci? A ragione il fedele segretario di Giovanni XXIII, Loris Francesco Capovilla – mancato nel 2016 da Cardinale centenario – indicava quale antefatto la crisi dei missili di Cuba dell’ottobre 1962, quando il mondo si era trovato sull’orlo di un conflitto nucleare.
In quella circostanza – con gli Usa e l’Urss pronti a sfidarsi dopo un confronto a distanza – non solo il lavoro della diplomazia vaticana e l’appello di papa Roncalli del 25 ottobre (»…Noi supplichiamo tutti i governanti di non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che essi facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace….») non caddero nel vuoto: ma da allora Giovanni XXIII decise di consacrare alla pace l’ultima parte del suo pontificato.