Corruzione e minacce all’ombra della massoneria: così per 40 anni i Casalesi hanno controllato i grandi appalti Statali, tra Enel, Ferrovie e Telecom.
da del 3 MAGGIO 2022 15:37
A cura di Rosaria Capacchione
Francesco Schiavone “Sandokan” al momento dell’arresto
In principio fu la Scen, piccola impresa di costruzioni con la testa a Casal di Principe e le mani a Giugliano. A quel tempo Francesco Schiavone forse era già chiamato “Sandokan” ma era solo uno dei figliocci di Antonio Bardellino e Mario Iovine, già feroce camorrista ma lontano dai vertici del clan. Era più di quarant’anni fa quando, assieme a un cugino suo coetaneo, Nicola Schiavone, il futuro capo dei Casalesi gettò le fondamenta della holding che avrebbe controllato per decenni il mercato degli appalti pubblici di Stato: fino a pochi mesi fa, almeno fino alla fine del 2019, quando gli ingranaggi del giocattolo si sono rotti per sempre. È accaduto quando la famiglia di Sandokan ha perso pezzi e potere: il boss in carcere dal 1998, condannato all’ergastolo, al 41 bis; il figlio primogenito, Nicola, battezzato dallo zio omonimo, pure ergastolano e poi collaboratore di giustizia, come il fratello Walter; la moglie, Giuseppina Nappa, in protezione, che veste l’abito della dichiarante; altri due figli, Carmine ed Emanuele, in carcere.
È stato così che prima il figlio, poi la moglie (che nel frattempo ha chiesto il divorzio) hanno svelato il trucco: era dai tempi della Scen, e poi dell’Heureka, che i soldi di famiglia servivano a finanziare la rete d’imprese del parente. Soldi che, come aveva argutamente raccontato Giuseppina Nappa, erano stati il lievito madre che aveva fatto crescere e prosperare il colosso dei subappalti di Telecom, Rete Ferroviaria Italiana, Enel. Fino ad arrivare a Bcs, società di consulenza che aveva acquisito contratti fino al 2021, fino a quattro mesi fa. È finita all’alba di oggi, 3 maggio. I Carabinieri di Caserta hanno eseguito, infatti, 35 provvedimenti cautelari (17 di custodia cautelare in carcere, altrettanti ai domiciliari, un obbligo di dimora) firmati dal gip di Napoli Giovanna Cervo e richiesti dai Pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede, a conclusione di un indagine durata due anni e in parte pubblica già da tempo, all’esito di perquisizioni e sequestri. Tra i destinatari delle misure Nicola Schiavone, 68 anni, una carriera da imprenditore, politico, faccendiere, casa e ufficio tra piazza dei Martiri, a Napoli, e Roma; il fratello Vincenzo; uomini di stretta osservanza del clan (come Dante Apicella e i suoi familiari); funzionari di Rfi, come Massimo Iorani. Rfi, che ha già provveduto a licenziare i dipendenti indagati e che viene travolta da un’indagine della Procura antimafia per la seconda volta in un paio di settimane: altre due funzionari, accusati di corruzione, erano stati coinvolti nell’ inchiesta sul clan Moccia e gli appalti nelle ferrovie.
Rispondono, a vario titolo, di associazione camorristica (Nicola Schiavone e Dante Apicella), concorso esterno, estorsione aggravata, corruzione, turbativa d’asta. Sequestrati ditte, conti correnti, libretti di deposito, immobili, auto, per una stima totale di cinquanta milioni.