Abitazioni efficienti da un punto di vista energetico, basate sulla gestione condivisa degli spazi comuni e il canone calmierato. Dalla “foresta verticale” olandese al progetto “Cenni di cambiamento” a Milano. Ma le iniziative si moltiplicano.
di A. Loi pubblicato da Tiscali.it
Molto ha che fare con l’edilizia pubblica che nei decenni scorsi troppe volte ha dato origine a veri e propri ghetti sociali, degradati e periferici.
Eppure a quel tipo di esigenza abitativa, non di rado piegata a esigenze speculative, si richiama il social housing, ovvero quella serie di progetti di “edilizia sociale” che coniuga la necessità fondamentale di avere una casa dove vivere con l’altrettanto importante esigenza di trovare in essa qualità, servizi, comunità e un canone d’affitto accessibile.
Portato avanti da istituti e fondazioni filantropiche o caritatevoli, spesso promosso e sostenuto da amministrazioni pubbliche, il social housing sta diventando in Italia – abbastanza in ritardo rispetto ad altri Paesi europei – la nuova visione capace di dare un impulso innovativo anche alla politica delle “case popolari”.
Cosa è l’housing sociale
Concettualmente il senso si coniuga con quello della smart city, ovvero il sistema di “strategie di pianificazione urbanistica correlate all’innovazione” ove nel termine “innovazione” rientra anche l’esigenza di “fornire soluzioni abitative per quei nuclei familiari i cui bisogni non possono essere soddisfatti alle condizioni di mercato e per le quali esistono regole di assegnazione”.
L’obiettivo è mettere a disposizione alloggi, in complessi residenziali con determinate caratteristiche, in particolare realizzati con buoni o ottimi standard di qualità, “a canone calmierato” che non vada cioè oltre il 25%-30% dello stipendio.
Il target è quello della classe media che vanta introiti superiori ai limiti imposti per l’edilizia popolare ma inferiori alle soglie dei prezzi di mercato. Una fascia di popolazione sempre più precaria e povera.
Esempi concreti sono l’abitazione temporanea di cui possono aver bisogno gli studenti o anche gli anziani, in transito verso soluzioni stabili, ancora gli immigrati o le giovani coppie così come i nuclei familiari in cerca di protezione perché, magari, si trovano in fase di stress (si pensi a persone separate o con lavori precari).
Tante differenti condizioni che non rientrano nei casi coperti dall’ediliza pubblica -propriamente detta- e che si prestano quindi a un modo diverso di interpretare le esigenze abitative degli individui. Alloggi di qualità per persone “fragili” che rispondano anche alla necessità di avere spazi sociali comuni, come parchi, librerie o locali per attività ludiche, che creino comunità tra le disparate tipologie di persone che vanno a occuparne gli spazi. Ma non solo: fondamentale nel social housing sono i progetti sociali e la gestione collettiva degli spazi comuni, con partecipazione reale alle decisioni che stanno al buon vivere all’interno del complesso abitativo.
La “foresta verticale” olandese
Un esempio ci arriva dall’estero ed è quello della Trudo Vertical Forest, residenza con finalità di social housing realizzata nella città che ha dato i natali alla nota ditta di elettrodomestici Philips, Eindhoven, nel Brabante Settentrionale. Una riedizione olandese del “giardino verticale” realizzato a Milano dall’architetto Stefano Boeri, a dirla tutta, ma che non è rivolta ai ricconi, bensì ai meno abbienti. Il Trudo rientra in politiche cittadine di più ampio spettro rivolte al sociale, con le quali l’amministrazione vuol riqualificare i capannoni e le strutture industriali dismesse dalla Philips. I progetti intorno a questi spazi fioccano, scrive La Repubblica, mentre si avviano fiere, mostre ed eventi dove il design è messo a disposizione delle reali esigenze delle persone.
Gli interni degli appartamenti
Gli esempi italiani: Torino, Milano e Roma
Se la città di Torino ha ospitato la tre giorni dell’Urbanpromo social housing – dedicata al vivere sociale e promossa dall’Inu (Istituto Nazionale Urbanistica) con Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo, Fondazione Sviluppo e Crescita Crt – non c’è dubbio che la capitale italiana di social housing sia Milano, città che vanta diversi esperimenti ben riusciti. In primis il quartiere Solari, realizzato addirittura tra il 1905 e il 1906 con i principi della residenza sociale per dare alloggi dignitosi agli operai.
L’interno degli appartamenti di Cascina Torrette (addirittura tra il 1905 e il 1906) con i principi della residenza sociale. Più recente è invece il progetto “Cenni di Cambiamento”, realizzato a Cascina Torrette su iniziativa della Fondazione Housing Sociale e della Fondazione Cariplo, consiste in un complesso residenziale “con primato in Europa per soluzioni costruttive ed impiantistiche all’avanguardia”, che vanta “elevati standard architettonici ed energetici”.
A leggere il sito si apprende che si tratta di 124 alloggi di classe energetica A+ “di cui 44 in locazione canone moderato e convenzionato, 43 in locazione con patto di futura vendita, 14 in locazione canone sociale, 16 servizi residenziali, 5 in locazione progetto Foyer”. Il complesso è promosso dal Fondo Immobiliare di Lombardia partecipato anche da Cassa depositi e prestiti e co-finanziato dalla Regione. Ma non è tutto perché troviamo altri esempi all’interno della piattaforma creata dal Programma Housing della Compagnia di San Paolo, che sostiene abitazioni sociali in Piemonte, così come a Firenze, Lucca, Sesto Fiorentino, Genova, Cuneo, Reggio Emilia, Torino, solo per citarne alcuni.
Anche Roma si attrezza: nascerà nel sud-est del Comune di Roma, non lontano dalla stazione ferroviaria di Pomezia, il progetto di abitare sociale e welfare di comunità Santa Palomba Città Dinamica: 950 alloggi nel IX Municipio che si estenderanno su una superficie complessiva di 75.000 mq. Di queste unità abitative, più della metà andrà in locazione calmierata per 15 anni, il 15% in locazione con riscatto e il 30% in vendita convenzionata. Costo dell’operazione 126 milioni di euro, 20 dei quali saranno destinati ad opere di urbanizzazione.