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Il professore: «La Dc?Mai morta, anzi sono 8. Ma la mia è l’unica legittimata»
di Stefano Lorenzetto
Professore, ma quante Dc ci sono in Italia? Nino Luciani agita le due mani con i palmi spalancati, come se avessi chiesto a un bambino quanti anni compie. Solo che lui ne farà 84 a fine aprile e non dev’essere stato facile, a quest’età, vincere la battaglia che vede contrapposte dal 2010 una decina di Democrazie cristiane («non esageriamo: a me ne risultano otto»), così innamorate della croce da scannarsi a vicenda.
Il neosegretario della «vera» Dc, fino al 2009 Ordinario di Scienza delle Finanze all’Università di Bologna, è talmente abituato ad andare in profondità nelle cose che inforca due occhiali da vista, uno sopra l’altro, per leggermi le sentenze che fanno di lui l’unico erede legittimo di Mino Martinazzoli, l’ultimo segretario, anzi il penultimo, impietosamente ribattezzato Lumino per aver officiato le esequie del principale partito italiano. «Lei deve ficcarsi in testa una verità nascosta: la Dc non è mai morta», scandisce Luciani, che fu lodato su Sette dal biblista Sergio Quinzio, nove mesi prima di quell’eutanasia, per l’ardore del suo impegno disinteressato in politica.
Non è una risurrezione, dunque.
«No. Martinazzoli il 21 gennaio 1994 convocò a piazza del Gesù il Consiglio Nazionale. Con lui, erano in 27. Fra questi, Tina Anselmi, Rocco Buttiglione, Nicola Mancino, Flaminio Piccoli, Emilio Colombo e Sergio Mattarella. Deliberarono all’unanimità che la Dc assumesse la denominazione di Partito popolare italiano, mantenendo il simbolo dello scudocrociato. Ma non potevano farlo».
Perché?
«La Cassazione ha sancito che lo scioglimento doveva essere decretato dall’Assemblea dei Soci, non dal consiglio nazionale. Pertanto sono da considerarsi nulli tutti i successivi tentativi di autoconvocazione di altri consessi decisionali e dei congressi. Infatti tali richieste andavano rivolte al consiglio nazionale. Che però nel frattempo era decaduto».
Ho già un’aura di emicrania.
«Mi segua, è tutto molto semplice. A fine 2016 il Tribunale civile di Roma mi autorizzò a presiedere l’assemblea dei soci, che, riunitasi nel febbraio 2017, nominò presidente Gianni Fontana, ex ministro dell’Agricoltura, con il compito di convocare il Congresso. Purtroppo Fontana s’è ammalato e il 19 giugno 2020 si è dimesso. Eletto al suo posto, ho fissato al 24 ottobre il XIX congresso da cui sono uscito segretario, lasciando la carica di presidente a Gabriele Pazienza».
A me risulta però un ricorso presentato da Mauro Carmagnola «nella qualità di segretario amministrativo e rappresentante legale» della Dc.
«Bocciato il 25 gennaio dal giudice Guido Romano del tribunale di Roma».
La magistratura tifa per lei.
«I partiti sono associazioni: articolo 36 del codice civile. Quando manca l’amministratore, nel caso della Dc il presidente, il segretario o il consiglio, per le convocazioni ci si deve rivolgere al tribunale: articolo 20. Ho seguito la via maestra. Ma non ci sono arrivato da solo».
Con l’aiuto di chi?
«Dei miei amici dell’Università di Bologna, giuristi di razza che discendono dagli antichi glossatori dell’Alma Mater Studiorum, con i quali l’imperatore Federico II si fermò a discutere per quattro giorni scendendo dalla Germania verso Palermo. Dopodiché introdusse nel Sacro Romano Impero il diritto romano di Giustiniano che essi avevano rielaborato su impulso del Barbarossa, suo nonno».
Se la Dc non è mai morta, perché lei e gli altri non sedete in Parlamento?
«Perché tutti pensavano che Martinazzoli l’avesse seppellita e hanno litigato per accaparrarsi il patrimonio. Ma se lei non è mai morto, mantiene i diritti di prima, inclusi quelli sulle sue proprietà».
E dov’è finito il patrimonio?
«Non lo chieda a me. So che è ingente. Chi ce l’ha non vuole certo restituirlo».
Adesso ci penserà lei a recuperarlo?
«Nossignore. Il 6 marzo, su mia proposta, la direzione del partito ha deciso che questo “non è un problema attuale”. Io voglio che ci restituiscano il simbolo».
Molto nobile. Quello che usa l’Udc?
«Esatto. Prima che a gennaio si dimettesse a causa di un’indagine sulla ’ndrangheta, avevo scritto al segretario Lorenzo Cesa. Non mi ha risposto. Conto che qualcuno lo faccia al posto suo. Per usare lo scudocrociato occorre dimostrare la continuità giuridica e l’unico a poterla vantare sono io. Renato Grassi, eletto segretario della Dc nel 2018 da un congresso poi dichiarato nullo, ha tentato di adoperarlo alle europee ma il Viminale non lo ha ammesso. Motivazione: mancava il requisito. Allora è ricorso in Cassazione e ha perso. E il Consiglio di Stato si è pronunciato nello stesso modo».
Ma la titolarità del simbolo non apparteneva a Giuseppe Pizza, che Wikipedia qualifica come segretario della Dc?
«Pizza non è più su piazza. Ho inviato via Pec al ministro dell’Interno due sentenze e due ordinanze della magistratura che permettono di dimostrare la continuità della mia Dc con quella del 1994».
Resta il fatto che si contano otto Dc.
«C’è quella di Angelo Sandri, cui riconosco il merito di averla tenuta in piedi con orgoglio. C’è Rivoluzione cristiana di Gianfranco Rotondi. C’è Rifondazione Dc dell’arzillo Publio Fiori. S’è provato di tutto per metterli d’accordo, ma non c’è stato verso. Vogliono comandare. Benedetta gente! Non è meglio essere primi in provincia che secondi a Roma?».
La sede di piazza del Gesù di chi è?
«Dei suoi proprietari. Fontana la affittò per tre anni, ma costava troppo. Nello statuto resta la nostra casa virtuale».
Lei è ricco?
«Ho 3.500 euro mensili di pensione».«
Quindi chi finanzia il partito?
«Nessuno, si figuri. Versiamo 50 euro a testa di quota sociale. Francesco Mazzucco, un notabile del Piemonte, ne ha messi 350. In tutto 2.300 euro l’anno. Alla prima convocazione eravamo 1.75o».
Vi ho contati: siete 39 soci, per l’esattezza. Quattro gatti. Dove volete andare?
«I quattro gatti stanno già organizzando le Dc regionali, con i loro segretari. Ho spedito 8.500 mail, altre 25.000 sono in partenza. Ho riscosso reazioni entusiastiche: “Finalmente torna la Dc!”. Mi aiutano Carmelo Cinnirella, avvocato di Caltagirone, il paese di don Luigi Sturzo, e Valentina Valenti di Roma, una statua».
Una statua?
«Bellissima. Tetraplegica, finita in carrozzella a 18 anni per una capriola nella palestra di scuola. È la mia vicesegretaria. Una combattente, speciale in tutto».
Non vedo notabili fra i soci.
«Sono dietro le quinte. Mario Segni è informato. Nel 2002 combattei con lui per la politica pulita. Al momento giusto penso che si farà vivo anche Rotondi».
E quale sarebbe il momento giusto?
«Le politiche del 2023. Ci presenteremo da soli, secondo la linea di Fontana. Niente pastette con Forza Italia o Udc. Siamo un partito di centro che guarda a sinistra, come sosteneva Alcide De Gasperi. Ruberemo voti al Pd. Pochi, però».
Suvvia, al partito dei cattolici non crede più nemmeno «don Camillo» Ruini.
«Ma noi puntiamo anche ai non cattolici, purché con uguali valori».
E papa Francesco che dirà della Dc?
«Forse preferisce i dem. Lui è un padre che vuole solo aiutare i suoi figli. Non sa che produrre è complicato, che il capitale va remunerato, che il lavoro costa».
Conosce l’arcivescovo Matteo Zuppi?
«Andai a trovarlo, perché, rifacendomi agli insegnamenti di Guido Gonella, avevo scritto un codice etico per i cristiani in politica, approvato senza osservazioni dalla Cei quando il segretario era monsignor Nunzio Galantino. Zuppi voleva presentarlo in un convegno, ma mettendoci sopra il cappello di un certo ente. Rifiutai, ripiegando sul vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli. Lo vede quanto sono ingenuo? Mi sono giocato la simpatia del più papabile fra i papabili».
Ma lei per chi vota attualmente?
«Sono fra quelli allo sbando. L’ultima volta per +Europa, benché non mi riconoscessi nell’abortista Emma Bonino».
Da quanti anni è democristiano?
«Da sempre. Dal 1975 al 1980 fui consigliere a Comacchio. La maggioranza Pci-Psi sollecitava il dialogo, ma non ci ascoltava. Così il pittore Remo Brindisi, con me all’opposizione, durante le sedute disegnava per noia pecorelle e pastori e mi regalava i dipinti con le dediche».
Non ha avuto nessun altro incarico?
«Non puntavo alla carriera. È brutta la politica, sa? Un mondo di delinquenti».
Conosce il bolognese Romano Prodi?
«Era membro di Scienze economiche, il mio dipartimento, ma non si vedeva mai. Idem Nino Andreatta. Incontravo di più Patrizio Bianchi, il nuovo ministro dell’Istruzione. Tipo attivo, in gamba. Con un movimento chiamato Impegno civico trasformai Giorgio Guazzaloca da macellaio in sindaco. Purtroppo fece comunella con Pier Ferdinando Casini».
Del Pci chi apprezzava?
«Giuseppe Dozza. Ricostruì Bologna».
Stima Stefano Bonaccini?
«Se sia una cima, non lo so. Lavora».
È contento del premier Mario Draghi?
«Per un solo motivo: un anno fa dichiarò che voleva la Repubblica presidenziale. Adesso dovrebbe emettere una lira transitoria convertibile in oro, garantita dalle 2.452 tonnellate di lingotti custoditi nei forzieri di Bankitalia».
Vorrebbe Giuseppe Conte nella Dc?
(Inarca le sopracciglia). «La sua stagione è finita. Non viene dalla gavetta».
E Matteo Salvini?
«No. Troppo matto e impreparato».
Allora Giancarlo Giorgetti?
«Un mediatore dotato di buonsenso».
Sicuro che moriremo democristiani?
«Vorrei altri due anni di vita solo per vederla correre, la mia Dc. Sapesse quante sofferenze m’è costata! Ma ho fiducia. Altrimenti non avrei cominciato».
27 marzo 2021 (modifica il 27 marzo 2021 | 10:39)