Gli spazi al centro, liberi dagli uffici, dovranno essere ristrutturati per offrire nuove funzioni e per questo, almeno per cinque anni, dovrà essere libera la possibilità di riconversione
da ROMA / CRONACA
di Antonio Preiti
L’OPINIONE
C’è la fine dell’ufficio? La fine del lavoro in ufficio? Farsi questa domanda l’anno scorso sarebbe stato da folli, oggi è la domanda che aleggia dovunque: sentiamo dire che lo smart working sarà la nuova normalità, che dobbiamo dimenticare i grandi open space e gli orari rigidi delle entrate e delle uscite dal lavoro.
Cosa significa tutto questo per Roma, una città dove l’ufficio è tutto?30 Dove più del 30% dei dipendenti pubblici è destinato a lavorare a distanza anche nel post-Covid, quando sarà. Immaginiamo come potrà essere il prossimo futuro: le aziende e la pubblica amministrazione dovranno ripensare il lavoro cercando di capire quali funzioni potranno essere svolte in sede e quali a distanza. Tutto risolto? Assolutamente no. Perché ci si domanda cosa ne sarà dei grandi spazi in centro occupati adesso da migliaia di persone: saranno dismessi? Ridotti? Riconvertiti per altre funzioni? E poi: lavorare a distanza non sarà sempre lavorare a casa, per altro non necessariamente, e in tutti i casi, il luogo ideale di lavoro, ma è possibile avere spazi più piccoli e più vicini alla residenza (co-working).
Tutto dovrà essere reimmaginato, perché l’attuale lavoro a distanza è nato per evitare gli assembramenti, non per ottimizzare il lavoro. Gli spazi al centro, liberi dagli uffici, dovranno essere ristrutturati per offrire nuove funzioni e per questo, almeno per cinque anni, dovrà essere libera la possibilità di riconversione, perché così si potrà qualificare il centro della città. Perché ci saranno ancora, naturalmente, gli uffici, ma saranno un diversi, più flessibili, per essere usati da persone che si avvicenderanno, saranno iperconnessi, più tecnologici, assomiglieranno più a piattaforme di lavoro che a luoghi di soggiorno.
Torniamo alla città: se le persone staranno più casa, il quartiere dove vivono diventerà il baricentro della propria vita, perciò più shopping nei dintorni, più tempo libero vicino a casa, spostamenti più limitati.
Cambia lo stile di vita: meno uscite in centro con i colleghi di lavoro e più uscite con chi abita nello stesso quartiere, a prescindere dal lavoro. Cambiare la fitta rete dei comportamenti sociali significa cambiare la città rispetto all’uso effettivo dei suoi residenti. E significa che ogni Quartiere, accompagnando un fenomeno già iniziato nel mondo pre-virus, tenderà a diventare una piccola città.
Roma sempre più un contenitore di piccole città, e anche il centro sarà una piccola città. Ci sarà bisogno di recuperare gli stabili abbandonati nei vari quartieri, rimettere a posto piazze e giardini, elevare la qualità del vivere pubblico, perché ogni quartiere non deve pensarsi più come la «periferia» di qualcosa, ma come il centro di sé stesso: dovrà ripensare e ridisegnare il proprio territorio, esaltarne l’anima distintiva che lo definisce, creare e sviluppare nuovi spazi sociali. Siamo alle soglie di una grande trasformazione di Roma, che comincia con i comportamenti collettivi, prosegue con i cambiamenti urbanistici e finisce con un nuovo modo di essere di tutta la città. Ci vorrebbe un po’ più di visione. Il Covid ci ha spinto involontariamente nel futuro, ma tocca alla nostra volontà di costruirlo.
23 novembre 2020 | 08:08