LA MOTIVAZIONE DEL RIESAME
I Giudici respingono il ricorso presentato dai legali di Dino e Mario Tredicine, arrestati per corruzione: «Bellucci, punto di riferimento in Campidoglio, un loro “impiegato”»
da ROMA / CRONACA
di Giulio De Santis
Dino e Mario Tredicine, arrestati per corruzione e «appartenenti a una famiglia di commercianti ambulanti tra le più note (…), negli uffici comunali agiscono da padroni». Per questo, secondo il Tribunale del riesame, va respinto il ricorso presentato dai legali degli indagati per il loro ritorno in libertà. I due Tredicine restano quindi ai domiciliari, dove sono dal 23 settembre.
Che cosa significhi comportarsi da “padroni” i giudici lo spiegano in un passaggio successivo delle motivazioni con cui bocciano l’istanza dei difensori, quando scrivono che per i Tredicine «la ricerca di favoritismi e lo scambio di cortesie, l’uso disinvolto di amicizie e conoscenze anche con esponenti del mondo politico locale, hanno costituito il normale esercizio delle loro attività imprenditoriali».
Aggiunge il Tribunale che i due «sono titolari direttamente o per interposta persona di numerose licenze per il commercio ambulante nel quale è maturata l’attività illecita». Ed è del tutto irrilevante, sottolineano i giudici, che abbiano perso il loro principale punto di riferimento in Campidoglio (VIII dipartimento), il funzionario Alberto Bellucci, anche lui arrestato per corruzione a settembre e ora allontanato dalla scrivania che ha occupato per 25 anni. I due Tredicenne, infatti, «possono corrompere altri funzionari e trovare nuovi referenti».
I giudici dedicano l’introduzione delle motivazioni a Bellucci che, secondo il Tribunale, ha avuto un doppio lavoro: «Uno palese con il Comune e uno occulto con i due commercianti». «Una sorta di dipendente dei Tredicine», è la definizione usata dai giudici per inquadrare il rapporto del funzionario con i due esponenti della famiglia di ambulanti. Bellucci, osservano i giudici, tra il 2006 e il 2018, periodo in cui ha intrattenuto legami con Dino e Mario, «ha versato sul suo conto corrente 113 mila euro in contanti, somma ingente non proporzionata al suo modesto stipendio».