Le storie dei primi emersi dalle viscere dell’Azovstal
Di Alessandra Briganti
ROMA 02 maggio 2022 19:54 NEWS
“Siamo pronti a dare il benvenuto, è una gioia essere qui oggi”.
Due donne evacuate da Mariupol (Copyright ANSA/AFP)
Spalanca un sorriso ancora teso, Dorit Nitzan, Direttrice delle Emergenze per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, arrivata all‘Epicenter di Zaporizhzhia per accogliere il bus di civili in viaggio verso la città: donne, bambini e anziani, per lo più, evacuati dalle viscere dell’acciaieria di Azovstal, ultima roccaforte della resistenza ucraina nella città martire di Mariupol, Ucraina del sud.
È la prima evacuazione da quando, una settimana fa, il presidente russo, Vladimir Putin, ha ordinato la chiusura dell’impianto siderurgico.
“Bloccate questa zona industriale – aveva intimato – da lì non deve uscire una mosca”. Ma l’attesa fuga verso la salvezza si rivela lunga e non priva di ostacoli per i profughi intrappolati da due mesi nei sotterranei dello stabilimento industriale. Le informazioni arrivano con il contagocce, spesso contraddittorie. Sarebbero ventisei i checkpoint che il convoglio umanitario, sotto l’egida delle Nazioni Unite e della Croce rossa, deve attraversare prima di approdare al porto sicuro di Zaporizhzhia, capoluogo dell’omonimo Oblast che da mesi accoglie i rifugiati in fuga dal sud e dall’est del Paese. L’arrivo è slittato di ora in ora. Nessuno riesce a fare una previsione e le voci sulla situazione sul terreno si rincorrono, non confermate, per evitare problemi con l’altra evacuazione in corso dall‘impianto siderurgico, faticosamente negoziata tra Kiev e Mosca e rinviata nel corso della giornata. Il ritorno alla luce dopo due mesi al buio incute un certo timore a Natalia Usmanova, una dei civili evacuate dall’acciaieria.
“All’uscita del rifugio antiaereo, in cima ad una scala non si riusciva a respirare perché non c’era abbastanza ossigeno – racconta la donna alla Bbc –. Avevo paura anche di uscire e respirare un po’ di aria fresca. Avevo paura anche a tirare fuori il naso”. “Non abbiamo più visto la luce del sole, avevamo paura”, continua Natalia, emozionata, che nella testimonianza raccolta a Benzimenne, villaggio dell’Ucraina sud-orientale sotto il controllo russo, racconta di essersi ritrovata lì, nei cunicoli dell’acciaieria, “per una libera scelta, come i lavoratori della fabbrica, per salvarci”. Quando l‘Orso russo ha cinto d’assedio l’impianto, era troppo tardi. “Sapevamo dei corridoi umanitari e delle evacuazioni. Ma non ci siamo riusciti – ha spiegato la donna -. E quando sono iniziati i bombardamenti ho pensato che il mio cuore si sarebbe fermato e non sarei sopravvissuta. I bombardamenti erano così forti e iniziavano a colpire vicino a noi”.
Una famiglia ucraina evacuata da Melitopol
“Quando siamo saliti sul bus ho detto a mio marito: non dovremo più andare al bagno con una torcia elettrica? – ha detto ancora, incredula Natalia – e non dover usare un sacchetto o un cestino come bagno e una torcia”. Un piccolo miracolo che Zaporizhzhia si appresta a festeggiare con tanto di giocattoli per bambini, scodelle di borsc calda, vestiti, scarpe. “Sono stanco, ma felice”, racconta Maks, volontario al Centro Commerciale Epicenter, punto di arrivo dei profughi. Maks, il volto segnato dalla stanchezza, si è catapultato qui di prima mattina per accogliere i civili evacuati dall’acciaieria. “Non so quando arriveranno – dice – ma mi basta vedere questo centro di nuovo pieno per tornare a sperare ancora”. Negli ultimi giorni il flusso dei profughi verso Zaporizhzhia era rallentato, troppo pericoloso mettersi in viaggio sotto il fuoco dell’artiglieria. Ma oggi qualche auto ha iniziato ad arrivare con il suo carico di dolore e speranza. Come quella di una famiglia di Mariupol, con cane al seguito, su una vecchia utilitaria rossa e i finestrini rotti, accolta dai cronisti in attesa del convoglio dall’Azovstal.