Le Opa o le Ops (offerte pubbliche di acquisto o di scambio) sono una delle più eque operazioni del mercato azionario. Perché mettono sullo stesso piano, con gli stessi diritti, azionisti piccoli e grandi.
Da del 01/07/2020
di Paolo Panerai
Nell’opa, in particolare, ai piccoli è data la possibilità di vendere allo stesso prezzo dei grandi o di rimanere soci dei grandi che lanciano l’OPA. Nell’OPS possono conferire le loro azioni a chi ha lanciato l’offerta e diventarne socio. In tutti i casi non sono discriminati, a meno che chi è oggetto dell’OPS la voglia far fallire per ragioni di potere.
Molto probabilmente, nel caso dell’ops su Ubi, sono grandi azionisti che hanno affidato un pacchetto di azioni pari all’8,6% alla gestione off shore del fondo Parvus di Edoardo Mercadante, una storia opaca sulla quale ha acceso i riflettori la Procura di Milano. Un motivo in più per constatare che l’OPS riguarda soprattutto i piccoli azionisti, che non schermano le loro azioni in paradisi fiscali e tengono alla luce del sole i propri risparmi, ritenendo a ragione di essere in un mercato borsistico trasparente.
Essi infatti sarebbero i danneggiati principali qualora il Consiglio di amministrazione di Ubi in questi giorni dovesse pronunciarsi contro l’operazione, come è possibile nonostante l’agenzia di rating Fitch già da tempo abbia fatto presente che è solo grazie all’offerta di Intesa che il titolo non è stato declassato a junk.
Infatti, gli azionisti di maggioranza e soprattutto quelli rappresentati da Parvus possono consapevolmente decidere se e quanto eventualmente rimetterci e indirizzare in tal senso l’orientamento della banca sotto ops. Al contrario, i piccoli azionisti avrebbero soltanto la strada del contenzioso legale per far valere i propri diritti. Come?
Sono tre le strade che stanno vagliando in questi giorni gli avvocati scesi in campo per conto proprio o per iniziativa di Comitati di risparmiatori, per ora informali ma pronti a organizzarsi per evitare che Ubi fornisca informazioni errate o fuorvianti al mercato nel comunicato di valutazione dell’ops atteso per i prossimi giorni:
1) un’azione di responsabilità verso gli amministratori di Ubi a norma dell’articolo 2395 del codice civile e verso Ubi stessa (articolo 2049);
2) una class action nei confronti di Ubi, per la perdita di valore del titolo causata dal mancato successo dell’OPS e, infine,
3) un esposto alla Consob per aprire un procedimento sanzionatorio verso il Consiglio di amministrazione, in caso di violazione degli obblighi relativi appunto al Comunicato che il cda deve emettere sull’offerta. Ma non è escluso che possano decidere per le tre azioni insieme.
Il danno che i piccoli azionisti di Ubi temono è evidente: Intesa offre 17 azioni ordinarie di nuova emissione per ogni 10 azioni di Ubi, offerta equivalente a un rapporto di concambio pari a 1,70 e a un premio del +28% rispetto al prezzo di chiusura di Ubi Banca del 14 febbraio, ultimo precedente il lancio dell’ops, e del 39% rispetto alla media a sei mesi calcolata sempre al 14 febbraio. Anche dopo l’annuncio dell’Offerta, il concambio implicito nei valori di mercato si è mantenuto prossimo o del tutto coincidente con quello offerto, a testimonianza del giudizio positivo del mercato.
Alcuni analisti, poi, suggeriscono di tener conto che negli ultimi cinque anni Ubi ha sempre quotato al di sotto del proprio patrimonio netto tangibile (in media pari a 0,49 volte), sostanzialmente allineato a quello delle altre banche italiane comparabili e rimanendo sempre al di sotto di quanto espresso da Intesa (in media pari a 1,10 volte). Un apprezzamento che è funzione diretta della redditività attesa: 5% in media nel medesimo periodo per Ubi, 6% per le banche comparabili e 10% per Intesa. Grazie al premio offerto, oggi Ubi quota sul proprio patrimonio netto tangibile a premio di oltre il 40% rispetto alle banche comparabili, nonostante la sua redditività sia sostanzialmente rimasta allineata. È invece assolutamente possibile, secondo gli analisti più accreditati, che in caso di insuccesso dell’operazione il titolo Ubi possa perdere sino a un 30-40% per il venir meno del premio implicito dell’Offerta e per il riallineamento alla sua performance storica e alla sua valutazione fondamentale.
Più in dettaglio, ecco alcune delle valutazioni che stanno facendo i piccoli azionisti, a partire dalla banale constatazione che con il rapporto di concambio offerto, qualora gli azionisti di Ubi fossero stati già azionisti di Intesa negli ultimi cinque anni, avrebbero ricevuto dividendi pari a 2,7 volte il dividendo percepito come azionisti di Ubi. Chi aderisce ora all’ops, secondo gli analisti, potrà avere i seguenti benefici:
a) i dividendi 2019 non distribuiti da Intesa a seguito della raccomandazione della Bce di sospenderne il pagamento fino al 1º ottobre 2020 (a mero titolo informativo, sono pari a 0,192 euro per azione Intesa moltiplicato il concambio di 1,7 volte vs 0,13 euro per azione Ubi;
b) la conferma da parte di Intesa della politica dei dividendi indicata nel Piano industriale 2018-2021, nonostante lo scenario macroeconomico avverso causato dal Covid-19, che prevede la distribuzione di un ammontare di dividendi pari al 75% del risultato netto per l’esercizio 2020 e al 70% per l’esercizio 2021, contro un 40% medio del piano di impresa di Ubi Banca.
I comitati dei piccoli azionisti in via di formazione stanno monitorando anche le iniziative sinora poste in essere da Ubi per ostacolare l’OPS e impedire ai soci di Ubi (unici veri destinatari dell’Offerta) di pronunciarsi. A cominciare dall’azione giudiziaria, definita, secondo quanto si riscontra presso gli organi di controllo, sostanzialmente priva di fondamento e strumentale e che il cda, senza alcuna preventiva autorizzazione assembleare e quindi dei soci, ha avviato il 26 maggio scorso per cercare di sottrarsi alla passivity rule. Anche i rilievi inclusi nel ricorso all’Antitrust sono definiti negli stessi ambienti pretestuosi. Si è trattato in entrambi i casi di azioni che non dovevano e non potevano essere avviate senza l’autorizzazione preventiva dei soci, ai quali il pur bravo amministratore delegato Victor Massiah e il Cda di Ubi, da un lato hanno impedito di pronunciarsi in via preventiva sull’opportunità o meno di intraprendere le misure difensive sopra indicate, dall’altro lato, come succede quando l’offerta non è stata gradita da chi ha il potere sulla banca, vengono usati tutti i mezzi per ostacolare l’ops e impedire agli azionisti Ubi di decidere se aderire o meno all’Offerta. Ovviamente i più danneggiati da un insuccesso dell’ops, come si raccoglie anche in Via Nazionale, sarebbero i piccoli ma non solo, perché ce ne sono anche di significativi che si sono fatti i conti e sperano che l’ops si faccia e abbia successo.
Come succede in offerte come queste anche negli Usa, l’atteggiamento del cda di Ubi sconta l’interesse al mantenimento del proprio ruolo, in una banca formalmente indipendente pur se, come si sottolinea da parte di alcuni, eterodiretta anche da azionisti e azioni parcheggiate alle Cayman tramite Parvus. È chiaro che per il cda di Ubi sia più importante il mantenimento del suo potere in nome della dichiarata indipendenza, piuttosto che a rimetterci di più siano proprio i piccoli azionisti, ossia i risparmiatori e i piccoli investitori estranei per definizione a logiche di potere e interessati esclusivamente alla redditività del proprio investimento. E per questo è richiesto dal mercato oltre che dalle autorità (Consob e Bce hanno giustamente drizzato le proprie antenne) che il comunicato che deve emettere Ubi sull’offerta di Intesa nei prossimi giorni debba essere trasparente e adeguato. Deve consentire infatti trasparenza e adeguata valutazione della proposta soprattutto in relazione ai rischi di insuccesso e ai danni per i piccoli azionisti. Ai quali, Ubi è tenuta a dare un’assistenza «fondata e disinteressata» a norma di legge. Il comunicato non può o non dovrà spiegare la decisione sulla base dei comportamenti e degli interessi delle azioni custodite offshore, che evidentemente rispondono ad altre logiche, quelle sulle quali sta indagando la Procura di Milano.
L’efficienza e la credibilità del mercato rischiano di essere pregiudicate, e in modo grave, poiché sono già state evidenziate iniziative del cda di Ubi giudicate in violazione delle norme del diritto finanziario e i «principi di correttezza» che gravano sull’emittente durante lo svolgimento dell’offerta. E vi è il rischio ancor più grande che questi comportamenti si ripetano nei prossimi giorni, quando si aprirà il periodo formale di adesione all’offerta. La domanda di molti è: il comitato per il controllo sulla gestione di Ubi non ha niente da osservare? Eppure, è il soggetto tenuto a vigilare sul rispetto della legge e a comunicare senza ritardo le eventuali irregolarità riscontrate. Il mercato e i piccoli azionisti hanno diritto di sapere e soprattutto di vedere ristabilite le regole del gioco, soprattutto quando a violarle è un Cda Ubi fortemente influenzato da interessi opachi domiciliati in un paradiso fiscale.
MF-Milano Finanza più volte ha sottolineato l’importanza del presidio da parte delle banche dell’economia dei territori, e quindi non gioisce a vedere assottigliarsi il numero degli istituti. Ma questa OPS, sia pure lanciata pre-Covid, ha due vantaggi contemporaneamente: rendere più forte la prima banca italiana, portandola a dimensioni europee, e consentire agli azionisti di Ubi, che era nata come banca popolare, di trarre valore significativo dalla fusione. Un’opportunità rara, anzi rarissima, nel contesto economico di oggi e del prossimo futuro.
In Ubi lavorano persone serie e capaci, a cominciare appunto dall’ad Massiah, che peraltro in un passato non lontano ha lavorato molto bene in Intesa come responsabile dell’area Mercato; ma forse è la concezione di alcuni azionisti industriali che la banca sia loro, anche se sono comunque minoranza. Un po’ il difetto di altre popolari finite male.