Mps, si fa strada l’ipotesi bad bank: cedere i deteriorati è cruciale per il futuro di Siena
Al momento non vi è necessità per lo stato di intervenire a sostegno di nessuna banca secondo il premier Giuseppe Conte, che così ha risposto a chi chiedeva lumi su un’eventuale intervento a favore di Mps o Banca popolare di Bari. Anche se Conte ha rassicurato che “il sistema bancario italiano ha compiuto grandi progressi negli ultimi due anni, sia per i crediti deteriorati sia per i fondamenti che assicurano stabilità” e che dunque “il sistema complessivamente è in buona salute”, cosa fondamentalmente vera, in casa Montepaschi continua a regnare grande cautela, visto che il problema della rimozione dei crediti deteriorati è tuttora alla ricerca di una soluzione.
Si parla da tempo di un intervento di Amco (Asset Management Company) l’ex Sga, previo scorporo di una porzione cospicua di Utp e Npl da cedere ad una “bad bank” interna che Amco poi rileverebbe, ma quanti sono i crediti deteriorati che Mps dovrà cedere? Sino a questa estate si ragionava di 8 miliardi, poi la cifra è balzata a 11-14 miliardi, ora si torna a parlare di 10 miliardi. Un balletto di cifre poco rassicuranti visto che a dare il via libera dovranno essere le autorità europee, che sembrano recitare la parte del poliziotto buono (la Bce, che da mesi starebbe esercitando una “moral suasion” per arrivare ad accelerare per quanto possibile il derisking) e il poliziotto cattivo (l’Antitrust, che vuole un prezzo di cessione assolutamente in linea col mercato così da non avere un caso di aiuti di stato).
L’ideale sarebbe riuscire a passare per una “operazione di mercato”, ma su questo fronte la storia recente di Mps non autorizza a facili ottimismi, visto che già nel 2017 una maxi-cartolarizzazione da 26 miliardi non andò in porto e solo l’anno successivo, con l’assistenza delle Gacs ((Fondo di Garanzia sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze) e l’intervento del fondo Italian Recovery Fund di Quaestio Capital si riuscì a cedere un pacchetto di 24,1 miliardi. Ora l’importo nominale è pari a circa la metà, ma occorre capire quanto valga realmente (i 24,1 miliardi portarono nelle casse della banca senese circa 4,3 miliardi, con una valutazione media del 17,8% del valor nominale).
Se davvero la nuova cartolarizzazione (che rimuoverebbe circa i due terzi dei crediti deteriorati ancora in pancia a Mps, a fine giugno pari a 15,9 miliardi) otterrà il via libera, Mps diverrebbe certamente più appetibile per futuri pretendenti, visto che l’Npe ratio lordo (16,3% a fine giugno) scenderebbe in area 5%. Ma l’eventuale differenza da colmare tra quanto si otterrà dall’acquirente e il valore al quale i titoli sono iscritti al bilancio peserebbe sul Tesoro (socio al 68%), ossia sui contribuenti italiani. Gli stessi che l’Antitrust Ue vorrebbe indirettamente difendere chiedendo che gli asset ceduti non siano valutati più del loro valore.
Questo perché l’idea che sembra ormai aver preso piede è di creare una vera e propria “bad bank” che verrebbe poi fusa con Amco, che il Tesoro poche settimane fa ha già ricapitalizzato per un miliardo, soldi poi utilizzati per comprare circa 2,8 miliardi di crediti deteriorati di Banca Carige. A quel punto Amco si ritroverebbe con in pancia, secondo le ultime ricostruzioni, un portafoglio che potrebbe essere composto al 70% da Utp (che in casa Mps sono coperti mediamente per il 41,5%) e per la parte restante da Npl (coperti al 61,7% in media).
In sostanza, se Amco pagherà 48%-49% rispetto al valore lordo emergeranno perdite e la cosa pare molto probabile. Il sentiero per trovare un’intesa che da un lato soddisfi le richieste dell’Antitrust e della Bce, dall’altro non addossi ulteriori perdite, in un modo o nell’altro, ai contribuenti italiani è molto stretta e questo spiega come mai la trattativa tra Roma e Bruxelles stia procedendo da mesi, con cifre “ballerine”.
Luca Spoldi