Il 69enne manager romano, passato anche dalla guida di Deutsche Bank Italia, tra le cui mani è esploso il caso della PopBari fu il deus ex machina della vendita da 25.000 miliardi di lire dell’ex Banca del Salento all’istituto di credito toscano (MPS), del quale divenne direttore generale. Con uno strascico giudiziario per truffa – dal quale uscì assolto – legato alla vendita dei prodotti finanziari My Way e For You.
di Andrea Tundo |da Il Fatto Quotidiano del 16 DICEMBRE 2019
Adesso gli hanno sfilato la banca dalle mani e i pm indagano di nuovo su di lui.
A Vincenzo De Bustis Figarola questa volta la banca l’hanno sfilata di mano. Un finale triste della sua seconda esperienza al timone della Banca Popolare di Bari, commissariata venerdì da Bankitalia, che fa da contraltare alla guida di Banca 121, l’istituto di credito salentino che il manager romano trasformò in un gioiello e piazzò a cifre da capogiro al Monte dei Paschi. Allora il banchiere 69enne trasferì armi e bagagli da Lecce a Siena, dove divenne direttore generale di Rocca Salimbeni.
Un record, un caso unico: mai – né prima né dopo – il direttore generale della banca venduta era contestualmente stato scelto come direttore generale dell’acquirente. Acrobazie da primi anni Duemila, frutto di quell’aurea di innovatore che De Bustis si era costruito alla corte di Giovanni Semeraro e Lorenzo Gorgoni trasformando la loro Banca del Salento in un istituto di credito di respiro nazionale conteso da Mps e da San Paolo Imi, con i primi che alla fine misero sul piatto 2.500 miliardi di lire per acquisirla con un rilancio in extremis.
Furono diverse le intuizioni a permettergli il triplo salto, che i maligni riconducono anche alla vicinanza a Massimo D’Alema, all’epoca assai influente nel suo Salento e nei Ds che sguazzavano nel “groviglio armonioso” senese. La realtà è che De Bustis, tra una boccata di sigaro e l’altra, ci aveva visto lungo dalle stanze di via Templari, a due passi da piazza Sant’Oronzo, ed era riuscito a trasformare una banca con 877 dipendenti e 5mila miliardi di lire in un contenitore capace di raccogliere più del triplo e filiali sparse in 15 regioni che ne fecero il più grande istituto di credito controllato da persone fisiche davanti a Banca Sella.
Una banca proiettata nel futuro – nel 1999 il Corriere della Sera la definì una cyberbanca – perché tra le prime a scommettere su diversificazione dei canali di vendita, home banking e servizi telematici. E non ebbe paura di trasformare il nome senza perdere la propria identità: in quel 121 che per tutti divenne “centoventuno” in realtà c’era il one-to-one, l’essenza di una banca di prossimità nata e cresciuta tra i paesini del Salento che si ritrovarono la banca “noscia” (nostra in leccese, ndr) in tv col volto della star hollywoodiana Sharon Stone, protagonista di uno spot nel quale fuggiva dai fan in cerca di un autografo rifugiandosi in una filiale.
Spremeva i suoi collaboratori più stretti, ai quali è capitato, non a pochi e non di rado, di rimanere in ufficio nottetempo per chiudere un progetto alla vigilia di un consiglio d’amministrazione che avrebbe dovuto varare la riorganizzazione aziendale. Ma ripagava con avanzamenti di carriera rapidi e verticali, salvo non concedere una seconda chance in caso di errori. Si arrivò anche così a quella vendita record al Monte dei Paschi, che si mise in pancia la presenza capillare in un territorio che stava iniziando a conoscere la sua primavera ma anche i prodotti MyWay e For You.
Due strumenti finanziari assai venduti da Banca 121 che di lì a poco sarebbero finiti sotto la lente della magistratura. De Bustis venne processato e assolto in appello dalle accuse di truffa. Ma sono state centinaia le sentenze dei tribunali civili e le transazioni che hanno riconosciuto lo scioglimento del contratto e il rimborso ai risparmiatori.
Sostanzialmente i prodotti erano stati costruiti correttamente, ma venduti con informazioni carenti. Tanto che spesso la linea seguita dai giudici per i rimborsi ha tenuto in conto l’età e l’istruzione del cliente.
Fu anche per quella bufera giudiziaria che Vincenzo De Bustis Figarola nel 2003 abbandonò Mps. Passò per 5 anni alla guida di Deutsche Bank Italia, prima di creare il fondo di private equity Bridge Capitals poi assorbito da una merchant bank romana. Nel 2011 il ritorno in Puglia, questa volta 140 chilometri a nord di Lecce, per dirigere la Popolare di Bari, la più importante banca del Sud in mano alla famiglia Jacobini. Se ne andrà nel 2015, quando l’operazione Tercas era ormai impostata, per poi tornare un anno fa, all’inizio dell’attuale crisi della banca e poco dopo l’apertura della prima inchiesta, che dovrà far luce sulla gestione del periodo 2013-16, nella quale De Bustis è indagato per maltrattamenti.
Il manager, che tra il dicembre 2018 e la scorsa settimana è stato prima consigliere delegato e poi amministratore delegato, recentemente è finito di nuovo sotto la lente della magistratura. Al centro l’emissione obbligazionaria da 30 milioni attraverso strumenti ibridi che secondo lui avrebbe messo in sicurezza l’istituto.
L’oscura società maltese Muse Ventures, che ha un capitale sociale di soli 1.200 euro, fece sapere di volerla sottoscrivere per intero. Poi l’affare si bloccò, tra segnalazioni all’antiriciclaggio e perplessità all’interno della stessa banca.
Il 5 dicembre De Bustis è finito indagato dalla procura di Bari, una settimana dopo sono arrivati il commissariamento e altri due filoni d’inchiesta che al momento non vedono indagati. “È tecnicamente impossibile per un ispettore rivoltare tutti i conti di una banca. L’onestà del banchiere fa tutto. Le assicuro che la Vigilanza fa tutto quello che è possibile, il banchiere deve aprire correttamente i libri”, disse nel 2016 a Libero dopo la sua prima esperienza alla guida dell’istituto di credito che ora Bankitalia gli ha sfilato dalle mani.