CRONACA ROMA
I Carabinieri della compagnia Roma Centro hanno arrestato quattro persone che avevano messo in piedi un finto studio legale per l’infortunistica stradale. Scontri auto-moto simulati anche fra parenti.
di Rinaldo Frignani
Un incidente stradale a Roma (foto Giuliano Benvegnù)
Simulavano raffiche di incidenti stradali, soprattutto fra auto e moto, o scooter, per le strade di Roma, per incassare cospicui risarcimenti danni dalle assicurazioni, anche di 20 mila euro, con la complicità di otto medici ortopedici in servizio in alcuni ospedali, fra questi anche Santo Spirito e Sandro Pertini. Otto persone sono state raggiunte giovedì mattina dalle misure cautelari emesse dal gip: quattro organizzatori sono ai domiciliari, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, al falso e alla corruzione, reati contestati anche quattro medici di pronto soccorso. Sono stati sospesi dal servizio fra sei mesi e un anno. Gli indagati sono una trentina, fra loro altri quattro dottori e alcuni avvocati specializzati nel settore degli incidenti stradali, i cosiddetti «parafangari».
Dalle indagini dei carabinieri della Compagnia Roma Centro, che indagano dal 2019, è emerso il coinvolgimento a vario titolo di circa 250 persone, sulle quali sono in corso accertamenti per risalire a ruoli e responsabilità nei falsi sinistri stradali, organizzati su strade secondarie della Capitale in giorni prestabiliti, in modo da farli coincidere con i turni dei medici complici in ospedale. In pratica il capo della banda, che aveva allestito un finto studio di infortunistica nella sua abitazione, e i tre procacciatori di «attori» da usare sui set dei sinistri, organizzavano tutto nei minimi dettagli.
In una metropoli con circa 30 mila incidenti all’anno, quelli finti della banda passavano inosservati anche perché i vigili urbani non venivano chiamati mai: le parti siglavano il Cid, la constatazione amichevole, che veniva inviata alle assicurazioni insieme con ripetuti certificati medici rilasciati dai dottori sulla base di finte visite fatte in ospedale. In più i veicoli venivano disposti sulle strade in modo tale da avvalorare ricostruzioni che avrebbero portato a sicuri risarcimenti. I diretti interessati dovevano scattare anche foto mentre auto e moto erano quasi sempre vecchie e spesso venivano rottamate prima che fossero visionate dai periti delle Compagnie.
Anche per questo motivo però le Assicurazioni si sono insospettite, segnalando le anomalie ai Carabinieri. Oltre al fatto che in alcune circostanze ci sono stati personaggi coinvolti in due-tre incidenti al mese, e in altre occasioni i sinistri sono stati organizzati fra parenti, anche cugini, sebbene con cognomi diversi.
Il passaparola aveva allargato la platea di persone che hanno aderito alla maxi truffa che avrebbe fruttato circa due milioni di euro – che il Capo banda ha incassato chiedendo alle assicurazioni ignare di tutto di pagare su Poste Pay o con assegni per non lasciare tracce, per una cinquantina di episodi accertati dai Carabinieri, anche se le indagini sono tuttora in corso per verificare le responsabilità di chi a tutt’oggi ancora non è stato raggiunto dalle misure cautelari.
I complici della banda venivano pagati 300-500 euro per ogni fase dell’incidente: il sinistro stesso, la disponibilità a fornire i veicoli, le foto, il Cid, l’arrivo in ospedale, la visita medica e i successivi accertamenti. In qualche caso anche le testimonianze dell’accaduto. La consegna del denaro e le istruzioni per «recitare» bene le parti avvenivano in locali pubblici, ma anche per telefono. Così gli investigatori hanno scoperto il sistema utilizzato dall’organizzazione, intercettando le comunicazioni dalle quali si capisce che anche i medici implicati venivano ricompensati.
19 gennaio 2023