L’assoluzione in appello per l’ex presidente Mussari e l’ex direttore generale Vigni ribalta in maniera clamorosa non solo l’impostazione dell’accusa della Procura di Siena e poi di quella di Milano, ma l’intera narrativa che ha tenuto l’Istituto senese per anni sulle pagine dei giornali.
di Gaetano Veneziani
da Pubblicato il 06/05/2022 19:17
Dopo dieci anni di scandali, inchieste, aumenti di capitale miliardari bruciati a ripetizione, salvataggi di Stato e perfino la tragedia della morte del portavoce David Rossi, la storia di Mps viene riscritta dai giudici di Milano. L’assoluzione in appello – arrivata venerdì 6 maggio per l’ex presidente Giuseppe Mussari, l’ex direttore generale Antonio Vigni, l’ex capo dell’area finanza Gianluca Baldassari e altri ex dirigenti nonché per le banche estere Deutsche Bank e Nomura con i rispettivi manager perché “il fatto non sussiste” (tranne una prescrizione per un falso in bilancio per Mussari e Vigni) – ribalta in maniera clamorosa non solo l’impostazione dell’accusa della Procura di Siena e poi di quella di Milano, ma l’intera narrativa che ha tenuto l’Istituto senese per anni sulle pagine dei giornali di tutto il mondo.
I cosiddetti “derivati” Santorini e Alexandria non erano tali. Non ci fu falso in bilancio ma soprattutto non ci fu aggiotaggio – hanno deciso i giudici di appello ribaltando le pesanti condanne del primo grado – cioè il mercato non fu ingannato dalle informazioni che la banca aveva fornito. Quelle operazioni complesse, dai nomi esotici di Santorini e Alexandria, Fresh o Chianti Classico, erano conoscibili dal Bilancio, non occultavano buchi. Era tutto legale, hanno deciso i magistrati.
Già una precedente sentenza della Cassazione – confermando l’assoluzione degli allora vertici di Mps per il presunto “occultamento” del documento-chiave dell’inganno al mercato, il cosiddetto “mandate agreement” – aveva indicato che questa avrebbe potuto essere la strada anche dei giudici milanesi. Ma se è così – e sarà estremamente importante capirne le motivazioni, tra novanta giorni – a che cosa è allora legata la crisi del Montepaschi, che ha bruciato oltre 21 miliardi di patrimonio, tra soldi privati e pubblici?
Non che sia a Siena se la passassero bene, anzi. La Banca si era indebolita enormemente con l’acquisizione di Antonveneta a fine 2007 per 9 miliardi. Dopo pochi mesi, il crac di Lehman Brothers minacciò una crisi mondiale. Le Banche ebbero bisogno di aiuti e Mps prese i primi “Tremonti Bond” dal Governo. Iniziò così a legarsi agli aiuti di Stato, da cui di fatto non si è ancora liberata.
Nel frattempo le scelte di Mps di puntare massicciamente sui titoli di stato per coprire strategie commerciali più aggressive come l’offerta di “mutui variabili con il cap” – un prodotto di enorme successo ma non adeguatamente misurato nei rischi – incontrarono un ostacolo enorme: la crisi del debito sovrano nel 2011 e l’esercizio dell’Eba che impose di pesarne i rischi a bilancio. Per Siena fu l’inizio della fine. Dovette andare a cercare capitale ovunque. E nel frattempo i Contratti esotici come Alexandria drenavano preziosa liquidità, ogni giorno.
Nel 2013, poi, gli aiuti di Stato sotto forma di “Monti Bond” sottoscritti dalla nuova gestione di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola dovettero scontrarsi con le nuove regole europee sui salvataggi bancari, appena introdotte, e con la nascita della Vigilanza Unica della Bce nel 2014. Risultato? Un esame sempre più puntiglioso dei bilanci senesi, che hanno fatto emergere fino a 46 miliardi di crediti deteriorati lordi.
E’ questa la vera zavorra che ha trascinato giù la Banca, insieme agli alti costi del personale e a un sistema di recupero crediti non efficentato, per di più nel mezzo della più grave crisi economica dal dopoguerra: miliardi di denaro prestato ad amici e a raccomandati politici, ma anche a tante imprese e famiglie italiane che hanno fatto fatica a riprendersi e a restituire quei prestiti alla Banca. Una massa di NPL non gestiti, che Siena è stata sostanzialmente costretta a cedere aggravando le perdite, in una spirale negativa che dura ancora oggi. E che tra qualche mese richiederà nuovamente un sostegno con denaro pubblico.