di Francesca Basso e Milena Gabanelli
I Paesi europei non hanno mai visto tanti soldi in arrivo da Bruxelles, oltre 2 mila miliardi messi sul tavolo un po’ dagli Stati, un po’ dal bilancio Ue (in corso e nuovo), e una parte sarà raccolta sul mercato dalla Commissione europea attraverso l’emissione di bond. I fondi servono per fare due cose:
L’ombrello della Bce
A questi soldi si aggiunge l’iniezione straordinaria di liquidità della Banca centrale europea, che per l’emergenza ha lanciato un piano — il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) — per aiutare gli Stati a finanziare i propri programmi di intervento per combattere le conseguenze economiche del Covid: Francoforte sta acquistando titoli di Stato e bond e così facendo tiene anche a bada gli attacchi speculativi sui Paesi più esposti (se non ci fosse il suo intervento all’Italia costerebbe molto di più il denaro che prende sul mercato). Il bazooka vale 1.350 miliardi e durerà fino al giugno 2021.
I soldi dell’Ue
Servono però molti più soldi. Lo scenario è drammatico: è la peggiore crisi economica che l’Europa abbia visto dalla Grande depressione. Quest’anno la crescita crollerà ovunque e l’Italia è quella che fa peggio. Il Pil precipita a -11,2% mentre il nostro debito pubblico esploderà al 158,9% (stime della Commissione).
A cosa serve il Mes
Per affrontare l’emergenza gli Stati Ue hanno aperto i cordoni della borsa e hanno messo sul piatto 540 miliardi che sono già disponibili, i governi devono solo farne richiesta: 100 miliardi del meccanismo Sure contro la disoccupazione; 200 miliardi per nuovi finanziamenti alle imprese messi a disposizione attraverso nuove garanzie della Banca europea per gli investimenti (Bei); 240 miliardi della nuova linea di credito del Mes chiamata «Pandemic crisis support». Il primo programma dura un anno, per gli altri due c’è tempo sino a fine 2022 per chiedere i soldi. La nuova linea di credito del Mes è accessibile a tutti i 19 Paesi dell’Eurozona per un ammontare massimo pari al 2% del Pil nazionale a fine 2019 (per l’Italia vuol dire fino a 36 miliardi), con l’unica condizione che i soldi siano usati per «il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi Covid-19». Insomma, per assumere personale medico e paramedico, ammodernare la rete ospedaliera, potenziare la diagnostica e le strutture sul territorio. Ricordiamo che i tre mesi di sospensione delle visite e interventi non urgenti e le nuove regole sulla sicurezza stanno comportando un allungamento delle liste d’attesa anche di 6 mesi. Inoltre i fondi possono essere usati per la ricerca del vaccino, il finanziamento delle case di riposo, l’edilizia scolastica che dovrà fare i conti con il distanziamento fisico, la prevenzione sanitaria negli uffici pubblici (tribunali, forze di polizia, comuni). I tassi per un prestito a 7 anni sono negativi (restituisci meno di quanto prendi), per un prestito di 10 anni vicini allo zero (0,13%). Chiedere gli stessi soldi al mercato, all’Italia costerebbe circa 5 miliardi in più.
Le condizioni
Nel nostro Paese c’è un dibattito molto forte su questa nuova linea di credito del Mes e sulle sue condizioni di accesso. Vediamo cosa prevede:
1) i soldi devono essere usati solo per le spese sanitarie dirette e indirette legate al Covid;
2) lo Stato che vi accede è soggetto a una sorveglianza rafforzata da parte della Commissione Ue che sarà limitata, in base agli accordi, al monitoraggio delle spese per l’assistenza sanitaria diretta e indiretta, e i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi Covid;
3) il Mes metterà in funzione il sistema di allarme preventivo per assicurare il ripagamento da parte degli Stati nei tempi previsti. L’Early Warning System è un sistema di monitoraggio del rischio che serve al Mes per mantenere il rating con la tripla A, ma non gli dà potere di condizionamento, la valutazione spetta comunque alla Commissione e all’Ecofin;
4) finita la crisi gli Stati membri dell’area euro rimangono impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale della Ue. Ma questo dovrebbe avvenire comunque perché sempre gli Stati membri nell’elaborare le loro politiche di bilancio devono rispettare le regole Ue;
5) la sorveglianza nei confronti di uno Stato non è prevista nel trattato del Mes ma dal Two Pack: l’articolo 2 prevede che in qualsiasi momento la Commissione Ue possa attivare il monitoraggio e la sorveglianza per gli Stati membri che si trovino o rischino di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria. Questo a prescindere dall’attivazione del Mes;
6) il debito con il Mes è di tipo «senior», va restituito prima degli altri.
A chi conviene
Ai soldi del Mes vogliono accedere Pd, Italia Viva e Forza Italia. Sono contrari M5S, Lega e Fratelli d’Italia perché temono le condizioni. Tirano in ballo il salvataggio della Grecia e i programmi di austerità imposti dalla «Troika» (Commissione Ue, Bce, Fmi). Ma quello era un altro programma. Finora solo Cipro ha manifestato l’intenzione di usare il Mes. Quanto a Paesi duramente colpiti dal coronavirus come Spagna e Portogallo, il rendimento dei loro titoli decennali è molto più basso del nostro (circa lo 0,46% contro l’1,32% dei Btp), quindi anche il risparmio è assai inferiore. Anche la Grecia si finanzia a un costo inferiore al nostro. Mentre sono negativi i rendimenti di Francia, Germania, Olanda o Austria. C’è infine un altro aspetto importante nell’attivazione della nuova linea di credito del Mes: è condizione necessaria ma non sufficiente perché la Banca centrale europea possa attivare, in caso di crisi, le Outright Monetary Transactions, mai usate finora. Si tratta di acquisti potenzialmente illimitati con scadenze fino a tre anni di titoli di un Paese che diventi oggetto di speculazione. Tuttavia c’è chi teme che accedere al Mes significhi certificare le difficoltà del Paese aprendo la porta alla speculazione. Il ministro Roberto Speranza ha detto che sulla sanità siamo già a posto. Il premier Giuseppe Conte ha rimandato la decisione a quando sarà definito anche il Recovery Fund.
La solidarietà nella Ue serve a tutti
Per la ripresa c’è bisogno di tantissimi soldi. Se il coronavirus ha colpito tutti i Paesi Ue in modo simmetrico, la ripresa sarà diversa a seconda delle condizioni dei Paesi e per quelli più indebitati sarà più difficile. Questo mette in pericolo la tenuta del mercato unico europeo, grazie al quale gli Stati membri hanno potuto prosperare. Ecco perché serve la solidarietà tra i Paesi. In altre parole: chi ha di più aiuta chi ha di meno o si precipita tutti. Per la ripresa la Commissione Ue ha proposto un pacchetto da 750 miliardi che Bruxelles, per la prima volta in questa forma, raccoglierà emettendo bond sul mercato e che distribuirà agli Stati così se viene trovato un accordo tra i governi: 500 miliardi di trasferimenti a fondo perduto e 250 miliardi di prestiti a tassi molto agevolati. La garanzia ce la mette il prossimo bilancio Ue formato dai contributi proquota di tutti i Paesi membri e dalle risorse proprie. Quando quei bond arriveranno a scadenza li rimborserà la Commissione con gli interessi che verranno dalle nuove risorse proprie (plastic tax, carbon tax, prelievo digitale e sistema di scambio delle emissioni inquinanti) e non gli Stati che hanno ricevuto i soldi. Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia non vogliono mettere soldi in più, Ungheria e Repubblica ne vogliono ricevere di più. Il 17 e 18 luglio i leader Ue dovranno negoziare per arrivare a un accordo che però sembra ancora lontano. Si tratta sulla dimensione del bilancio, sulle nuove risorse proprie, sui criteri di distribuzione, i tempi di restituzione, il controllo sull’uso dei fondi, il rispetto dello Stato di diritto.
Prestiti e fondo perduto: per fare cosa?
Questa pioggia di fondi senza precedenti ha l’obiettivo di aiutare la ripresa nei Paesi più duramente colpiti dalla crisi e di trasformare l’economia dell’Ue in modo sostenibile e digitale.
L’Italia dovrebbe essere la principale beneficiaria — nella proposta della Commissione — seguita da Spagna e Polonia: al nostro Paese andrebbero 172,7 miliardi di euro, di cui 81,807 miliardi di trasferimenti e 90,938 miliardi di prestiti, a Madrid 140,4 miliardi, divisi tra 77,3 miliardi di aiuti e 63,1 miliardi di prestiti, a Varsavia 63,8 miliardi di cui 37,7 aiuti e 26,1 prestiti.
La Francia avrà a disposizione 38 miliardi di sole sovvenzioni. Si interviene in tre ambiti: 1) aiuto agli Stati; 2) sostegno agli investimenti privati; 3) rafforzamento di alcuni programmi esistenti.
La fetta più grossa dei 750 miliardi viene assegnata attraverso il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience facility, ambito aiuto agli Stati). Per avere i soldi, però, gli Stati si devono impegnare a usarli per trasformare l’economia in linea con le priorità dell’Ue: transizione verde e digitale, inclusione sociale. I singoli Stati devono fare anche le riforme indicate dalla Commissione Ue nelle Raccomandazioni Paese degli ultimi anni, che per l’Italia vuol dire rafforzamento del sistema sanitario pubblico, riforma della giustizia, protezione per i lavoratori, liquidità alle imprese, completamento della riforma pensionistica, lotta all’evasione, attenzione al debito ecc. I soldi non arriveranno tutti insieme ma solo man mano che si raggiungono gli obiettivi che uno Stato ha individuato.
Le regole dei piani di ripresa
Next Generation Eu è un programma temporaneo, della durata di due anni. I fondi andranno distribuiti il più velocemente possibile. Ma per ottenere il via libera ai fondi della Recovery and Resilience Facility la tempistica non è immediata. Una volta presentato il piano nazionale per la ripresa (a partire da ottobre), la proposta in discussione prevede che la valutazione sia fatta dal Consiglio a maggioranza qualificata su indicazione della Commissione. La valutazione positiva delle richieste di pagamento sarà subordinata al soddisfacimento delle «pietre miliari», cioè degli obiettivi che dovranno essere indicati e raggiunti. La Commissione adotta la decisione sull’approvazione dei pagamenti, tenendo conto del parere del Comitato economico e finanziario (un organismo in cui sono rappresentati i governi). Per finanziare Next Generation Eu la Commissione dovrà aspettare il 2021, perché le garanzie per emettere i titoli saranno disponibili soltanto con il nuovo bilancio pluriennale dell’Ue e dopo l’approvazione di tutti e 27 i Parlamenti nazionali. Per quest’anno le risorse disponibili saranno poche: 11,5 miliardi, da spendere per rifinanziare le politiche tradizionali ed il nuovo fondo per ricapitalizzare le imprese.
Quale visione per il futuro?
Quindi un po’ di soldi ci sono già e gli altri arriveranno. Occorre una visione di come utilizzarli per riformare il Paese, a partire dal sistema sanitario: si intende continuare ad allargare gli accreditamenti o si comincia ad assumere quei 10.000 medici che mancano? Per continuare con la scuola, gli asili nido, Pubblica amministrazione, infrastrutture, industria, turismo. I cittadini pretendono dalle forze politiche l’impegno a «costruire» lavoro per ridurre l’enorme debito pubblico che stiamo scaricando sulle spalle delle prossime generazioni. E Bruxelles ci dà l’occasione di lasciare loro un Paese migliore.