Secondo diversi economisti l’inflazione scotta più del previsto, ma non si sta surriscaldando e la Fed non modificherà la sua politica monetaria sulla base di un solo dato. Per Cesarano (Intermonte) lo scenario per fine semestre è un progressivo rialzo dei tassi, curve più ripide in Usa e Area euro, fasi di turbolenza soprattutto sul Comparto Tech ma con il paracadute dei buyback | Strada in salita per il piano infrastrutturale di Biden
da del 13/05/2021 14:55
di Francesca Gerosa
Il balzo dell’inflazione negli Stati Uniti ad aprile, +4,2% anno su anno, ha esacerbato i timori che l’inflazione possa spingere la Federal Reserve ad accelerare la tempistica per ridimensionare le sue politiche accomodanti.
Il tutto mentre i leader repubblicani di Capitol Hill hanno detto al Presidente americano, Joe Biden, che si opporranno a qualsiasi tentativo di aumentare le tasse per finanziare il piano infrastrutturale, lasciando irrisolta una questione centrale nei colloqui tra repubblicani e democratici per trovare una soluzione di compromesso.
Secondo diversi economisti l’inflazione americana scotta più del previsto, ma non si sta surriscaldando e la Fed non modificherà la sua politica sulla base di un solo dato. “Le riaperture, e il forte stimolo fiscale, hanno spinto la domanda, a fronte di un’offerta ancora strozzata. Tre elementi legati alla riapertura rappresentano, infatti, la metà dell’aumento totale dell’inflazione core: alloggio (+7% mese su mese), biglietto aereo (+10%) e auto usate (+10%). Questi tassi di crescita rappresentano livelli insostenibili nel lungo termine. Escludendo queste componenti, possiamo dire che l’inflazione abbia avuto una ripresa solida, ma non troppo preoccupante per la Fed”, ha sottolineato Frank Rybinski, Chief Macro Strategist di Aegon Asset Management.
Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte Sim, ha anche citato l’impatto della carenza di chip: le attese per la consegna di un’auto nuova è diventata indeterminabile e, di conseguenza, i potenziali clienti si rivolgono al parco usato. È altrettanto importante notare che nelle quattro settimane trascorse dall’approvazione del piano di stimolo americano il 12 marzo, i consumatori hanno ricevuto 379 miliardi di dollari in pagamenti diretti. Tali pagamenti hanno una propensione marginale al consumo molto alta e quindi hanno sostenuto la spesa.
Tuttavia, “come benzina versata su un fuoco, questo denaro è ora in gran parte andato, supponendo che non ci siano più rilanci da parte del governo, e la crescita della domanda aggregata in futuro dovrà essere più organica ovvero legata al reddito da lavoro e alla ricchezza”, ha precisato Rybinski per il quale sarà interessante osservare quanto dello slancio inflativo possa essere sostenuto una volta che le voci che hanno sofferto maggiormente della chiusura torneranno ai livelli pre-pandemici.
Peraltro alcuni operatori hanno notato che la reazione dei Treasury al dato sull’inflazione è stata contenuta ieri (hanno toccato l’1,697% e oggi viaggiano in calo all’1,681%) rispetto a quella dell’azionario, a riprova che chi monitora i tassi di interesse non si aspetta un inasprimento della politica monetaria da parte della Fed. “L’idea generale è che questi aumenti dei prezzi siano ancora transitori. In caso contrario il mercato obbligazionario dovrebbe esserne maggiormente preoccupato e non lo è”, ha detto all’agenzia Reuters Patrick Leary, chief market strategist e senior trader di Incapital.
Parafrasando, ha concluso Rybinski, le parole di ieri del Vicepresidente della Fed, Richard Clarida: “è molto più difficile eseguire un’apertura senza intoppi di un’economia da 21 trilioni di dollari che chiuderla”. Clarida ha affermato che ci vorrà “un po’ di tempo” prima che l’economia degli Stati Uniti si riprenda abbastanza da consentire alla Fed di considerare il ritiro del sostegno anti-crisi.
Però è la seconda volta in una settimana che le aspettative dei funzionari della Fed su un importante dato macro sono state disattese: c’è stato, infatti, anche un aumento di 266.000 posti di lavoro ad aprile, circa un quarto di quello atteso da molti economisti. Clarida è in ogni caso convinto che l’aumento dei prezzi si rivelerà temporaneo, mentre i dati deboli sull’occupazione rendono “più incerto” il ritmo della ripresa dei posti di lavoro e dimostrano la “saggezza” della Fed nel promettere di mantenere una politica monetaria accomodante.
Per il membro della Fed l’inflazione dovrebbe rientrare in area 2% tra il 2022 e il 2023, ma “se la Fed riterrà che il rialzo dell’inflazione debba essere letto come non transitorio, allora non esiterà a intervenire. Motivo in più per aumentare lo scetticismo dei mercati che per transitorio debba intendersi non qualche mese ma almeno un trimestre o più, visti anche i tanti colli di bottiglia che stanno emergendo tra cui emblematico quello dei chip”, ha affermato Cesarano.
In vista anche dei dati sull’inflazione di maggio (in pubblicazione a giugno), lo scenario per fine semestre rimane quello di un progressivo rialzo dei tassi, curve più ripide in Usa e area euro, con andamento più marcato in Usa”, ha previsto Cesarano. “Da ciò consegue un potenziale apprezzamento del dollaro fino in area 1,16/1,18 (oggi cross euro/dollaro a 1,20874, +0,20% ndr) entro giugno. Sul fronte azionario possibili fasi di turbolenza soprattutto sul comparto tech più sensibile al rialzo tassi ma con il paracadute offerto dai corposi buyback, soprattutto delle aziende americane che, nei primi quattro mesi di quest’anno, hanno annunciato piani di buyback per circa 480 miliardi di dollari, l’importo massimo a parità di periodo degli ultimi 20 anni”, ha concluso il Chief Global Strategist di Intermonte Sim.
La coincidenza tra prezzi più alti e crescita del lavoro più debole ricorda la “stagflazione” degli anni ’70 e rappresenterebbe il peggior scenario per la Banca Centrale Americana. Focus allora sui dati di aprile relativi alle vendite al dettaglio, produzione industriale e scorte delle imprese che verranno pubblicati domani, altro banco di prova per la Fed.