L’Europa spinge sulla svolta green per l’energia ma per il via libera agli impianti servono 5 anni. Le imprese: basta il no di un Comune e salta tutto.
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di GABRIELE DE STEFANI
Uno studio di Althesys dice che un impianto verde mediamente ne richiede sette e così il 50% dei progetti finisce nel cassetto, perché ad un certo punto conviene rinunciare e cambiare strada.
«Noi non vogliamo mollare, ma la situazione è assurda» sbotta Alberto Balocco, industriale dei biscotti. La sua avventura nelle rinnovabili è un paradigma surreale. A Trinità, nel Cuneese, sede di un polo logistico del gruppo esteso su 16mila metri quadrati, aveva già pannelli solari per 0,6 megawatt, sufficienti per il proprio fabbisogno energetico.
Lo scorso anno ha deciso di triplicare: da 0,6 a 1,8 megawatt, per mettere in rete l’energia in più e monetizzare, in attesa che magari in futuro, con l’espansione del sito, quell’elettricità non possa servire al gruppo. Balocco mette sul piatto un milione e mezzo di euro.
Un investimento? «Sì, ma soprattutto l’inizio di una via crucis» dice all’uscita dall’ennesima conferenza di servizi con gli enti locali. E’ tutto pronto da otto mesi e non si parte perché di traverso ci sono due Comuni: per far passare i cavi e allacciare l’impianto alla rete nazionale bisogna bucare l’asfalto appena rifatto e al Comune di Fossano sembra un peccato, quindi chiede di rifare il progetto; traliccio e cavi dovrebbero passare anche sopra il fiume Stura, e alla commissione paesaggistica del Comune di Trinità pare uno scempio. Tutto fermo, tutto da rifare. Congelati 1,2 megawatt di energia elettrica, cioè il fabbisogno di circa 500 famiglie.
«Tutto per non bucare un po’ di asfalto e per qualche cavo aereo di impatto minimo, è una situazione assurda – si sfoga Balocco -. Noi non molliamo e anzi facciamo un altro investimento da 1,8 milioni di euro nel nostro stabilimento di Fossano, ma la verità è che quando si parla di sburocratizzazione si fa solo demagogia, ci sono centinaia di casi come il nostro. E oltre al danno subiamo pure la beffa di dover pagare una multa di 25mila euro al provider a cui ci eravamo impegnati a fornire l’energia: l’impianto era pronto, sembrava non dovessero esserci più ostacoli».
Il tappo
Gli impianti in coda erano centinaia già gli anni scorsi, una quantità pressoché incalcolabile, persi nella miriade degli Enti autorizzatori e di Norme che cambiano di Regione in Regione. Poi se ne sono aggiunti 50 per produrre biometano dai rifiuti, bloccati da un improvviso cambio normativo. Di certo ora a complicare le cose c’è la grande sete di energia.
Nell’ultimo anno – ha spiegato in Parlamento la Direttrice Generale del Ministero dei Beni Culturali Federica Galloni, che ha una delega specifica all’attivazione del Pnrr e del Piano integrato per energia e clima – le richieste di autorizzazione sono schizzate da 84 a 575: 170 per l’Eolico e 405 per il Fotovoltaico. Senza un corrispondente potenziamento degli uffici, l’imbuto è presto spiegato. Il Governo è corso ai ripari con il Dl Semplificazioni prima e poi con il DL Energia con una serie di interventi che, nelle intenzioni, dovrebbero accorciare i tempi di un quinto «e già nei primi mesi dell’anno abbiamo avuto effetti visibili» ha detto Cingolani commentando le misure dell’esecutivo. Per le imprese non basta: «Ogni misura di semplificazione della burocrazia delle rinnovabili è positiva, ma servono una riforma più ampia dei processi organizzativi e una programmazione energetica complessiva» dice Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, l’associazione nata dalla fusione tra Assoelettrica e assoRinnovabili e che mette insieme oltre 500 aziende del settore. «Con il DL Energia – prosegue Re Rebaudengo – sono state ampliate le aree da considerare sicuramente idonee allo sviluppo delle rinnovabili. Ma le Regioni procrastinano le autorizzazioni. In generale, il punto è che, benché sicuramente ora faremo meglio come Paese, il confronto è con il poco o niente che abbiamo fatto negli ultimi 5 anni, e certamente non riusciremo a realizzare le rinnovabili necessarie a tagliare il 20% delle importazioni di gas. Non si vede ancora per le rinnovabili la stessa fretta, la stessa urgenza, che si applicano ai rigassificatori e all’inceneritore nel Lazio».