Tra le voci più indigeste 500 milioni per rifare una sede, terreni in Congo e uffici in Mali, auto blu e viaggi-studio. Gli eurodeputati alzano il cartellino giallo sugli ultimi bilanci delle agenzie della Ue. Ecco perché
di Thomas Mackinson | 5 MAGGIO 2022
Tra le voci da cerchiare in rosso spicca il restyling di palazzo Paul-Henri Spaak, quello che ospita l’emiciclo del Parlamento Europeo: 500 milioni di euro per sistemar casa agli eurodeputati. Ma anche progetti d’acquisto all’estero alquanto bizzarri, come quelli in Congo (uffici), in Afghanistan (terreno), in Mali (uffici) e nel Regno Unito (residenza). E siamo solo ai beni immobili. Poi ci sono i costi di gestione, il personale, la mancanza di trasparenza e i pochi antidoti al lobbismo in un periodo dove farmaceutica e industria bellica han praterie davanti a sé. Il tutto in un’enormità di capitoli, voci e vocine che è difficile anche solo seguire, figurarsi dargli il bollino verde. Il Parlamento Europeo ieri ci ha provato. In una votazione-fiume ha approvato la liquidazione dei conti 2020 per la maggior parte degli Organismi dell’UE, rimandando a settembre quelli di agenzie fondamentali come Frontex, il Comitato economico e sociale europeo e lo stesso Consiglio europeo. Che vengono dunque chiamati a fornire spiegazioni e a rispondere alle preoccupazioni dei deputati, prima che si tenga una seconda votazione tra settembre e ottobre.
La “procedura di discarico” è lo strumento più importante del Parlamento Europeo per verificare come sono stati spesi i fondi pubblici e come sono stati realizzati i progetti europei. Passa per il rotto della cuffia il bilancio della Corte dei Conti Europea, quella che dovrebbe vigilare sugli sprechi: 333 voti favorevoli contro 291, ma con una risoluzione che chiede alla Corte di risolvere una serie di questioni etiche e di gestione finanziaria che coinvolgono membri e presidente e solleva dubbi sulla sua imparzialità. Non passa invece quello dell’agenzia Frontex che si occupa della sicurezza delle frontiere interne, bocciato da 492 voti e solo 145 voti a favore. Idem per quello del Consiglio, che viene bocciato di prassi perché non fornisce mai ai deputati i documenti sui quali fare valutazioni in ordine alle criticità che via via riscontrano. Anche i conti presentati dal Comitato economico e sociale (CESE) vengono rispediti al mittente. Non tanto o solo per i numeri, ma anche a causa delle mancate azioni per arginare il fenomeno delle molestie emerso nel 2018 che hanno coinvolto un membro di alto livello del Comitato, con coinvolgimento dell’Olaf e l’apertura di diverse indagini e sanzioni.
In generale dalla plenaria vien fuori che mentre il Covid si mangiava un pezzo dell’economia continentale, l’Europa come istituzione riusciva a spendere e spandere come nulla fosse, compresi 500 milioni per ristrutturare uno dei tanti palazzi di rappresentanza (l’edificio Paul-Henri Spaak). Si permetteva anche il lusso di guardare con sufficienza raccomandazioni sulla trasparenza che dovevano fare da antidoto agli sprechi e ai conflitti di interessi che restano tutti in piedi, da quelli con l’industria farmaceutica che ha fatto affari d’oro coi vaccini a quelli con i produttori d’armi che l’Europa da due mesi invia all’Ucraina. La discussione verte su un tema apparentemente contabile, ma anche per il contesto si fa politica.
Spinta dalla guerra, l’Europa come mai prima discute su come riformare alcuni capisaldi della su politica comune, dalla difesa all’autonomia strategica, fino alle politiche di approvvigionamento energetico. Anche su impulso del Premier Draghi – che martedì senza giri di parole lo ha ribadito a Strasburgo – riflette sui meccanismi decisionali che ne paralizzano l’azione. Insomma, ad altissimo livello si sente l’urgenza di una nuova dinamicità dell’istituzione comunitaria. Quando però le si guada nel fondo delle tasche, questa Europa “in progress” scopre di avere i piedi ben piantati in un pantano di burocrazie pesanti e spendaccione, zavorrati dalla moltiplicazione di costi e di centri di spesa che non riesce a tenere a bada. La sua dorsale, fatta dalle tante agenzie comunitarie, è gravata da malagestio e conflitti di interesse che si manifestano anche in situazioni straordinarie, come sono la pandemia e la guerra.
“La Commissione Controllo di Bilancio – riferisce Sabrina Pignedoli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle – ha fatto un enorme lavoro denunciando e respingendo i bilanci di numerose Istituzioni europee. Per l’M5S i soldi dei cittadini vanno gestiti con sobrietà e accuratezza, ma è evidente che non è nascondendo la polvere sotto il tappeto che forniamo un’idea migliore delle Istituzioni Europee, ma facendo emergere le criticità e lavorando per risolverle”.
IL CONSIGLIO – La relazione approvata punta il dito contro il Consiglio accusandolo di non cooperazione con il Parlamento che continua a chiedere il pieno rispetto della prerogativa nella procedura di discarico. In pratica, non fornisce ai parlamentari i documenti necessari a una valutazione del bilancio. Questo rifiuto di concedere il discarico dura da più di un decennio.
FRONTEX – E’ l’agenzia che presenta il maggior numero di criticità, rilevate anche dalla Corte dei Conti, in ordine alla gestione del budget, ma anche nella gestione delle risorse umane. In particolare, sconta gli effetti di una clamorosa indagine interna su presunte molestie, cattiva condotta e respingimento dei migranti sulle quali indaga da dicembre l’Olaf (il suo Presidente Fabrice Leggeri si è dimesso venerdì scorso).
LA CORTE DEI CONTI – La relazione è stata al centro di una furiosa lotta tra la destra (rappresentata da PPE, ECR e ID – in difesa della Corte dei conti e del suo Presidente) e il fronte progressista (contro il discarico e favorevole a pesanti critiche alla Corte). La commissione Contenzioso ha deciso di rinviare il discarico, ma la votazione è stata estremamente serrata. Al centro del dibattito le irregolarità e le frodi in seno alla stessa Corte. Questa pubblicazione è stata seguita da un‘audizione straordinaria con il presidente sig. Lehne, ex membro tedesco del PE, nel gruppo PPE. Al centro delle irregolarità: utilizzo del parco macchine, affitti, subaffitti, conflitti di interesse e indennità di prima sistemazione. Passa, ma con una risoluzione che impegna la Corte a far luce su molti aspetti non solo finanziari ma anche etici.
SERVIZIO PER L’AZIONE ESTERNA – La relazione approvata dà conto dell’impatto finanziario delle riserve per il settore d’intervento “Relazioni esterne” aumentate da 16 milioni di euro nel 2019 a 21 milioni nel 2020. Tra le spese cerchiate in rosso 400mila euro per l’organizzazione di viaggi di studio della delegazione dell’Unione Europea negli Stati Uniti nel 2020, nel bel mezzo della pandemia. Sottolinea che, nel bando di gara, il SEAE ha richiesto servizi di alloggio e servizi connessi per tre volte nel 2020 per una media di 15 partecipanti in visita a Bruxelles e altre città degli Stati membri dell’UE; critica i progetti di acquisto previsti nella Repubblica democratica del Congo (uffici), in Afghanistan (terreno), in Mali (uffici) e nel Regno Unito (residenza).
IL NODO TRASPARENZA – Nella relazione sul bilancio del Parlamento è la Corte dei Conti che segnala i pochi progressi fatti, critiche che tra farmaceutiche in pandemia e armi nella guerra ucraina assumono un peso specifico maggiore. La relazione allegata al bilancio ricorda che l’articolo 11 del regolamento europeo impone ai relatori e ai Presidenti di Commissione di pubblicare le loro riunioni con i rappresentanti di interessi; osserva con preoccupazione che al 30 aprile 2021 solo 380 degli attuali 705 deputati hanno pubblicato almeno una riunione con un rappresentante di interessi sul sito Internet del Parlamento; rileva inoltre che, dall’inizio della nona legislatura, 10 dei 24 Presidenti di Commissione non hanno pubblicato alcuna riunione con i rappresentanti di interessi, o ne hanno pubblicata solo una; ricorda che le informazioni, i promemoria e i messaggi di posta elettronica sull’obbligo di pubblicare le riunioni dovrebbero essere inviati a tutti i membri a intervalli più regolari.”
Tra le voci da cerchiare in rosso spicca il restyling di palazzo Paul-Henri Spaak, quello che ospita l’emiciclo del Parlamento Europeo: 500 milioni di euro per sistemar casa agli eurodeputati. Ma anche progetti d’acquisto all’estero alquanto bizzarri, come quelli in Congo (uffici), in Afghanistan (terreno), in Mali (uffici) e nel Regno Unito (residenza). E siamo solo ai beni immobili. Poi ci sono i costi di gestione, il personale, la mancanza di trasparenza e i pochi antidoti al lobbismo in un periodo dove farmaceutica e industria bellica han praterie davanti a sé. Il tutto in un’enormità di capitoli, voci e vocine che è difficile anche solo seguire, figurarsi dargli il bollino verde. Il Parlamento Europeo ieri ci ha provato. In una votazione-fiume ha approvato la liquidazione dei conti 2020 per la maggior parte degli organismi dell’UE, rimandando a settembre quelli di agenzie fondamentali come Frontex, il Comitato economico e sociale europeo e lo stesso Consiglio europeo. Che vengono dunque chiamati a fornire spiegazioni e a rispondere alle preoccupazioni dei deputati, prima che si tenga una seconda votazione tra settembre e ottobre.
La “procedura di discarico” è lo strumento più importante del Parlamento europeo per verificare come sono stati spesi i fondi pubblici e come sono stati realizzati i progetti europei. Passa per il rotto della cuffia il bilancio della Corte dei Conti europea, quella che dovrebbe vigilare sugli sprechi: 333 voti favorevoli contro 291, ma con una risoluzione che chiede alla Corte di risolvere una serie di questioni etiche e di gestione finanziaria che i coinvolgono membri e presidente e solleva dubbi sulla sua imparzialità. Non passa invece quello dell’agenzia Frontex che si occupa della sicurezza delle frontiere interne, bocciato da 492 voti e solo 145 voti a favore. Idem per quello del Consiglio, che viene bocciato di prassi perché non fornisce mai ai deputati i documenti sui quali fare valutazioni in ordine alle criticità che via via riscontrano. Anche i conti presentati dal Comitato economico e sociale (CESE) vengono rispediti al mittente. Non tanto o solo per i numeri, ma anche a causa delle mancate azioni per arginare il fenomeno delle molestie emerso nel 2018 che hanno coinvolto un membro di alto livello del comitato, con coinvolgimento dell’Olaf e l’apertura di diverse indagini e sanzioni.
In generale dalla plenaria vien fuori che mentre il Covid si mangiava un pezzo dell’economia continentale, l’Europa come istituzione riusciva a spendere e spandere come nulla fosse, compresi 500 milioni per ristrutturare uno dei tanti palazzi di rappresentanza (l’edificio Paul-Henri Spaak). Si permetteva anche il lusso di guardare con sufficienza raccomandazioni sulla trasparenza che dovevano fare da antidoto agli sprechi e ai conflitti di interessi che restano tutti in piedi, da quelli con l’industria farmaceutica che ha fatto affari d’oro coi vaccini a quelli con i produttori d’armi che l’Europa da due mesi invia all’Ucraina. La discussione verte su un tema apparentemente contabile, ma anche per il contesto si fa politica.
Spinta dalla guerra, l’Europa come mai prima discute su come riformare alcuni capisaldi della su politica comune, dalla difesa all’autonomia strategica, fino alle politiche di approvvigionamento energetico. Anche su impulso del premier Draghi – che martedì senza giri di parole lo ha ribadito a Strasburgo – riflette sui meccanismi decisionali che ne paralizzano l’azione. Insomma, ad altissimo livello si sente l’urgenza di una nuova dinamicità dell’istituzione comunitaria. Quando però le si guada nel fondo delle tasche, questa Europa “in progress” scopre di avere i piedi ben piantati in un pantano di burocrazie pesanti e spendaccione, zavorrati dalla moltiplicazione di costi e di centri di spesa che non riesce a tenere a bada. La sua dorsale, fatta dalle tante agenzie comunitarie, è gravata da malagestio e conflitti di interesse che si manifestano anche in situazioni straordinarie, come sono la pandemia e la guerra.