ESTERI
Grandi giochi per un nuovo ordine internazionale al vertice di Samarcanda. Xi – sicuro sul fronte interno — incontrerà il leader dell’India, accoglierà l’Iran nella Shanghai cooperation organization, e avrà la Turchia nel ruolo di osservatrice.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE DA PECHINO – Non hanno tempo per distrazioni internazionali, di solito, i leader cinesi quando a Pechino si prepara il Congresso del Partito comunista, che viene convocato solo ogni cinque anni e decide gli assetti di potere per il lustro successivo.
Il viaggio di Xi Jinping, ieri in Kazakhstan e oggi in Uzbekistan, dice che il Segretario Generale è più che sicuro sul fronte interno: tutto è già deciso e predisposto per la grande liturgia del XX Congresso di ottobre che gli consegnerà un potere ancora più forte.
Xi può dedicarsi al suo sogno di ridisegnare l’ordine internazionale.
Avrebbe molto da fare a Mosca Vladimir Putin, impotente di fronte alle debolezze della sua Armata in Ucraina, logorata da errori di comando e crisi logistica. Ma è accorso a Samarcanda per consultare l’«amico del cuore» cinese. È uno Zar umiliato dai rovesci militari che incontra un Imperatore (socialista «con caratteristiche cinesi») intenzionato a recuperare il ruolo di statista globale dopo tre anni di clausura sanitaria in patria.
Il vertice di Samarcanda tra Xi e Putin è cominciato nel pomeriggio, poco dopo le 13 ora italiana. I primi a lanciare qualche virgolettato sono stati i russi, evidentemente ansiosi di propagandare la loro posizione e di «vendersi» la vicinanza della potente Cina. Ha detto Vladimir Putin: «Mosca appoggia la politica “Una Cina” (che promette la riunificazione di Taiwan, ndr); ci opponiamo alle provocazioni degli Stati Uniti nello Stretto di Taiwan; apprezziamo la posizione equilibrata della Cina sull’Ucraina».
Risposta del segretario generale comunista: «La Cina è pronta a lavorare con la Russia in qualità di grandi potenze».
Il vertice è il 39° tra i due e il primo dopo quello del 4 febbraio a Pechino, diventato famoso e famigerato per la promessa di «collaborazione senza limiti» proprio alla vigilia dell’invasione russa all’Ucraina .
Ancora ci si chiede quanto avesse rivelato Putin a Xi del suo piano bellico : forse gli aveva prospettato un attacco lampo di portata limitata; certo nessuno si aspettava che i russi si impantanassero in un conflitto di questa portata. Sta di fatto che in questi mesi Xi si è mosso con ambiguità strategica , resa più difficile da comprendere anche per la sua assenza dai vertici in presenza: ha rifiutato di definire l’impresa russa un’aggressione, ma non l’ha nemmeno elogiata apertamente, né sostenuta materialmente, per non rischiare che l’economia cinese venisse coinvolta nel gioco delle sanzioni proclamate dall’Occidente.
La Cina ha sicuramente pagato un prezzo per il rallentamento dell’economia globale causato dallo choc della guerra. Il suo export-import con il mondo è calato per tutta l’estate (ad agosto -3,8% di export verso gli Usa e -7,3% di import). È cresciuto invece quello con la Russia: tra gennaio e agosto +31% a quota 117 miliardi di dollari; la Cina ha speso in Russia 72 miliardi di dollari: gran parte delle importazioni sono di gas e petrolio, a prezzi scontati. E a Mosca Gazprom ha appena annunciato che le forniture saranno regolate in yuan e rubli (Xi vagheggia da tempo la de-dollarizzazione).
Mosca dice che l’interscambio Russia-Cina toccherà il record di 170 miliardi di dollari quest’anno e entro il 2024 arriverà alla quota simbolica di 200 miliardi. Utile alle due economie, il patto sul gas, che comprende la costruzione di una nuova pipeline «Power of Siberia 2» di cui si parlerà ancora oggi, anche per dimostrare la relazione privilegiata tra i due Paesi.
Ma Putin fa la figura del piazzista al vertice di Samarcanda. Mentre Xi Jinping indossa l’uniforme di federatore di un nuovo ordine mondiale che fa perno sull’Asia.
Oggi e domani a Samarcanda si svolge la riunione della «Shanghai cooperation organization» (Sco), che riunisce otto Paesi della regione asiatica: la Cina fondatrice e ispiratrice con la Russia, e poi India, Pakistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Tajikistan e Kyrgyzstan. Nei quattro «stan» (come vengono indicati i Paesi dell’area) che facevano parte del defunto impero sovietico la Cina ha molto investito a partire dal 1991, quando crollò l’Urss. Nel 2013, proprio durante un viaggio tra Kazakhstan e Uzbekistan, Xi parlò per la prima volta al mondo del suo progetto di Nuove Vie della seta (diventato poi l’impresa globale Belt and Road Initiative, che ha promesso di muovere da 1.300 miliardi di dollari in 149 Paesi).
E ieri Xi, facendo tappa in Kazakhstan, ha detto che la Cina difenderà «in ogni circostanza indipendenza, sovranità e integrità territoriale» dello «stan» amico strategico. È una messa in guardia neanche troppo velata alle ambizioni di Putin: «Significa che Pechino non tollererà che la Russia si dedichi a un revival della sua antica egemonia nella Regione Euroasiatica», spiega Niva Yau, ricercatrice Osce per l’Asia.
Un altro faccia a faccia importante è quello che si svolgerà tra Xi e il premier indiano Narendra Modi: i due Paesi hanno appena concordato di arretrare le loro truppe dal confine himalayano, dove due anni fa si combattè una battaglia a mani nude e colpi di pietra che lasciò decine di morti sulle pietraie ghiacciate. La Cina cerca di evitare che l’India si faccia troppo coinvolgere nella rete di alleanza tessuta da Joe Biden. Putin può solo osservare e applaudire le mosse del compagno cinese e compiacersi perché a Samarcanda sarà sancito l’ingresso nell’Organizzazione di Shanghai dell’Iran, altro Paese che crea problemi agli Stati Uniti. Utile a Mosca anche la presenza come osservatrice della Turchia di Erdogan.
Quanto alla «collaborazione senza limiti» promessa a febbraio dai cinesi, sembra che i limiti della programmazione prudente e di lungo periodo di Pechino siano evidenti. Mosca non può aspettarsi soccorso militare né grandi forniture di materiale bellico: per questo si è rivolta alla Nord Corea per acquistare milioni di proiettili e razzi d’artiglieria. Ma naturalmente c’è anche l’arma della retorica. E le ultime manovre cinesi lasciano pensare che Xi, ora che ha messo a posto ogni tessera per la partita interna del XX Congresso di ottobre, possa e voglia spendere qualche frase a favore del povero Vladimir Putin in difficoltà sui campi d’Ucraina.
La settimana scorsa Li Zhanshu, numero 3 del Politburo di Pechino, è andato in Russia e ha detto che «la Cina comprende e sostiene la necessità di tutte le misure prese da Mosca per proteggere i suoi interessi nazionali quando Stati Uniti e Nato hanno cercato di chiuderla in un angolo alla sua porta di casa (evidentemente l’Ucraina, ndr); stiamo fornendo assistenza», ha concluso il compagno Li. Assistenza è parola vaga.
Il fatto è che «finora la Cina ha concesso sostegno politico e morale, ma si è ben guardata dal fornire mezzi militari o dall’aggirare le sanzioni economiche», conferma Amanda Hsiao, analista del Crisis Group, think tank di strategia basato a Bruxelles e spiega: «Questa linea riflette il gioco di equilibrismo tra interessi strategici ed economici della Cina, con i secondo che continueranno a guidare il posizionamento di Pechino in questa fase».
15 settembre 2022 (modifica il 15 settembre 2022 | 16:27